Protagonista del questionario musicale di Proust, questa settimana, è Roberto Mancinelli, ceo e founder di iMean Music and Management e in contemporanea direttore artistico per il catalogo editoriale di The Saifam Group. Dirige anche un Master presso Accademia di Costume e Moda denominato “Style & Management for the music business”. È stato direttore artistico di Sony/Atv Music Publishing e precedentemente anche al timone artistico di Cgd/Warner e S4/SonyMusic. Da sempre nutre una passione smodata per la musica di Prince.
Che ascoltatore di musica sei?
Lavorare in radio, sin da ragazzino, mi ha piacevolmente costretto a essere un ascoltare onnivoro. Definirei il mio approccio all’ascolto scevro da pregiudizi e per questo pronto sempre a essere sorpreso. Nonostante io abbia, ovviamente, uno strettissimo gruppo di artisti preferiti, lascio sempre uno spazio allo stupore dell’inatteso. La visione di un vinile che gira e il suo profumo che si mescola a quello di un calice di un buon rosso possono avvicinarmi all’estasi.
Qual è il disco che ti ha cambiato la vita?
Sono scivolato, senza preavviso, fra i microsolchi di «Dirty Mind» di Prince poco dopo la sua release. Ero cosi giovane che il negoziante, con fermezza, mi sconsigliò di comprarlo. Funk irriverente e sboccato; un songwriting unico e la totale padronanza dello strumento. Degli strumenti. Bang! Nulla sarebbe stato più lo stesso una volta fatto tornare il braccetto del giradischi in posizione di riposo.
Qual è il libro che sta sul tuo comodino?
Ho due approcci diversi alla lettura. E sempre disordinati. Amo i saggi/manuali dedicati al mondo della musica e per questo ultimamente ficco il naso ogni tanto fra le pagine di «La Voce del padrone: Suoni e racconti dagli studi di registrazione» di Francesco Brusco. Spizzico la biografia di Dalla nelle sere più calme e da qualche tempo sto rileggendo anche tutto Pier Vittorio Tondelli. È stato fondamentale nella mia formazione adolescenziale.
Se potessi tornare a un concerto che per te è stato importante, quale sceglieresti?
Tralascio volutamente quelli che professionalmente mi hanno emotivamente scosso e ti cito a pelle e di getto quello dei Pink Floyd a Cava de’ Tirreni nel Maggio del 1989. Forse il mio primo concerto con la c maiuscola. Un battesimo. Gli amici, i laser, il best of su cassetta al cromo e forse l’unico show visto in primissima fila e con una resa sonora per me meravigliosa. Se penso invece agli anni in cui ho vissuto a New York, beh mi torna subito davanti alle orecchie un perfetto e strepitoso Billy Joel al Madison Square Garden. Una mitragliata di hit senza tregua ed eseguite per la maggior parte al pianoforte, con rara eleganza.
Come sei finito a fare quel che fai?
Come anticipavo poco fa, sono partito dalla radio. Che ho bazzicato come speaker, come programmatore musicale e come direttore artistico. Contemporaneamente ho frequentato il Dams di Bologna, scritto recensioni e articoli per qualche mensile italiano e anche per… il Televideo! L’accesso alla discografia è arrivato a metà anni Novanta. Flying Records, Cgd, Sony/S4 per poi planare nel meraviglioso mondo delle edizioni musicali con Sony Music Publishing (nel mio periodo chiamata Sony/Atv Music Publishing). Poi l’America. Anni meravigliosi in quel di Nyc. Un’esperienza di cui scopro ogni giorno i benefici professionali e quelli umani. È una questione di visione. Di sguardo lavorativo che non teme più i confini. Oggi oltre ad avere alcune consulenze con artisti, ho la mia casa di edizioni musicali, ovvero la iMean Music Publishing. Contemporaneamente ho la direzione artistica del catalogo editoriale del gruppo The Saifam Group e sono il pilota di un master chiamato Style & Management for the Music Industry presso l’Accademia di Costume e Moda, sede di Milano. Spesso, vado a bermi un caffé all’ombra dell’Empire State Building e collaboro con editori americani per Synch e ricerche musicali.
In un’altra vita che lavoro avresti fatto?
Mi appassionano le storie, i racconti, le sfumature del fare umano. Ascoltare e raccontare. Probabilmente mi sarei dedicato alla scrittura. Ho l’arroganza di pensare di essere bravo a indagare le pieghe dei pensieri altrui. Mi affascinano e cerco di trasformarli in visioni. Nei testi dei miei autori, per esempio, faccio spesso una totale immersione. Sì, direi proprio che di professione, in qualche modo, avrei scritto.
Qual è il progetto a cui hai lavorato di cui vai più orgoglioso?
Ho la fortuna di poter considerare tutta la mia vita professionale un progetto. Grande o piccolo che sia. Mi piace dunque pensare che a rendermi orgoglioso sia ogni singola parte dello stesso. Si srotola davanti ai miei occhi da qualche decennio e con un singulto in più dedicato alla mia esperienza americana. A Nyc, non avevo precedenti a cui riferirmi e mi crogiolo nell’idea di averlo fatto a testa bassa e contro ogni difficoltà. Avere alle spalle Sony/Atv in Usa mi ha di certo aiutato. Ma la lotta contro gli stereotipi legati ai songwriters italiani fra le ombre dei grattaceli di Manhattan, beh, quella me la son combattuta da solo.
Qual è, invece, l’errore che non ripeteresti?
Gli errori sono sempre uno degli ingredienti principali del successo di qualcuno o qualcosa. Ne ho fatti, certo. E li ripeterei tutti se utili a farmi essere quello che sono. Toglierei qualche grammo di cocciutaggine al mio approccio lavorativo, se proprio devo indicare un errore che ripeto spesso. Ma credo che ormai sia tardino…
Qual è il tuo rimpianto più grande?
Di non essermi infilato nell’archivio di Prince, quella volta che andai a Minneapolis. Di non aver messo in una valigia tutti i masters dei dischi inediti custoditi fra quelle mura. Scherzo, ovviamente…
Puoi riportare in vita un grande della musica di ieri per lavorarci. Chi scegli?
Lo so, sono noioso, però essere l’editore di Prince mi sarebbe proprio piaciuto e mi piacerebbe ancora più adesso. Averci a che fare e assistere al suo incessante e certamente bizzarro iter lavorativo. Che catalogo! Che libidine…
Talento, lavoro di team su un progetto, fortuna: cosa conta di più per sfondare nella musica?
Conta ovviamente tutto quanto tu stesso citi, combinato nelle giuste dosi e gestito da persone che tengano bene in mente che , in fondo, quello che vendiamo è un’emozione. E, se posso, aggiungerei il concetto di Urgenza. Con la U grande. Le migliori scritture, le migliori canzoni, i più grandi performers ovviamente secondo me, sono sempre stati guidati da una grande urgenza nel farlo, nel cantarlo, nel dirlo, nel mimarlo. Una necessità primaria. Come respirare.
Definisci gli artisti.
Mi riallaccio a quanto sopra. Per me gli artisti, o meglio quelli con cui ho piacere di lavorare, son quelli capaci di farsi interpreti dell’urgenza sopraesposta. Sono dei filtri, attraverso i quali passa la vita, il mondo. Il visibile e molto spesso l’invisibile. Gli artisti, nel loro speciale filtro, che se vuoi possiamo chiamare talento, ne fermano le parti più interessanti. E con urgenza le restituiscono al mondo. Nel nostro caso in forma musicale. In forma canzone
Definisci i discografici.
I bravi discografici che ho conosciuto in tutti questi anni son sempre stati accomunati, a mio sentire, dalla capacità di essere empatici e buoni amplificatori dell’altrui talento. Nessuno scopre nessuno. Nella migliore delle ipotesi ne amplifichi l’urgenza e il talento.
Definisci i promoter.
Per me i promoter son sempre stati quelli che, maniche di camicia arrotolate, han sempre fatto il lavoro più fisico della musica. Quello più rischioso. Lo so, non è poi cosi semplice e fanno molt’altro. Ma per me corrisponde alla parte più sudata della filiera musicale. Sudore che arriva dalla fatica così, come dagli applausi.
Come ti immagini il futuro del lavoro che fai?
Io sono principalmente un editore. E il futuro legato al mio mestiere me lo immagino certamente e necessariamente affiliato a tutte le possibilità tecnologiche e quindi di mercato che esistono, che stanno arrivando e che arriveranno. Se teniamo presente però la visione artistica che ho espresso precedentemente e cioé quella basata sul creare, sviluppare e vendere, con urgenza, un’emozione, beh, allora, forse un po’ romanticamente, credo che il processo resterà di base inalterato. Innovativamente inalterato, direi. O almeno lo spero molto.
Al questionario musicale di Proust hanno risposto anche:
Marco Alboni
Claudio Buja
Pico Cibelli
Mimmo D’Alessandro
Marta Donà
Claudio Ferrante
Stefano Lionetti
Alessandro Massara
Enzo Mazza
Roberto Razzini
Andrea Rosi
Federica Tremolada
Claudio Trotta
Franco Zanetti