L’estate dei concerti è al suo culmine. Il questionario musicale di Proust fa per questo rotta su Roberto De Luca, ceo di Live Nation Italia, costola tricolore della multinazionale americana leader nelle attività di promoting in giro per il mondo. Attivo dagli anni Ottanta, fondatore di Bonne Chance che nel 1989 diventa Milano Concerti, il promoter nel 2002 sigla il deal con l’allora Clear Channel da cui, tre anni più tardi, sarà scorporata Live Nation. Da allora è al timone per tutte le attività italiane.
Che ascoltatore di musica sei?
Direi un ascoltatore pop rock.
Qual è il disco che ti ha cambiato la vita?
«Nevermind» dei Nirvana. Ma anche «Mellon Collie» degli Smashing Pumpkins. Insomma: siamo dalle parti degli anni Novanta…
Qual è il libro che sta sul tuo comodino?
Ce ne sono diversi: mi considero un lettore seriale. Negli ultimi mesi ho messo in fila Don Winslow e Daniel Silva. Ho appena finito «La verità sul caso Harry Quebert» di Joel Dicker ma mi piacciono molto anche i libri di aforismi e la filosofia. Mi piace lasciarmi sorprendere dai filosofi.
Se potessi tornare a un concerto che per te è stato importante, quale sceglieresti?
Sicuramente il primo che ho fatto con Vasco Rossi nel 1998. Se devo spingermi ancora più indietro, direi il tour di «So» Peter Gabriel, ma anche Bob Dylan e Van Morrison.
Come sei finito a fare quel che fai?
Casualmente. Non c’era una scuola per imparare il mio mestiere, all’epoca, e forse non c’è neanche adesso. Non pensavo affatto di fare il promoter da grande: avevo una radio a Novara. Per sostenerci finimmo a fare concerti. Fu quasi una necessità. Più che un professionista del settore, mi sentivo un amateur.
In un’altra vita che lavoro avresti fatto?
Ho studiato per quattro anni medicina. Stavo cercando di fare il medico per una sorta di obbligo: in famiglia mia o prendevi la strada di medicina, o quella di ingegneria o al massimo legge. Confesso che in fondo mi sarebbe piaciuto fare il fotografo.
Qual è il progetto a cui hai lavorato di cui vai più orgoglioso?
Tra gli ultimissimi «Firenze Rocks», andando più indietro quella meraviglia che fu l’«Heineken Jammin’ Festival». Se faccio due conti, ho dedicato davvero tanto tempo ai festival in vita mia. Ci tengo tanto anche al progetto «Amiche per l’Abruzzo» del 2010.
Qual è, invece, l’errore che non ripeteresti?
Ne ho commessi tanti. Mi sono sempre detto che gli errori servono a imparare.
Qual è il tuo rimpianto più grande?
Più che un rimpianto, ho un dolore grande: la mancanza mio figlio.
Puoi riportare in vita un grande della musica di ieri per lavorarci. Chi scegli?
Nessun dubbio: Freddie Mercury.
Talento, lavoro di team su un progetto, fortuna: cosa conta di più per sfondare nella musica?
Fortuna zero. È tutto talento, intuizione e lavoro di team.
Definisci gli artisti.
Genialità, bizzarria, idee che cambiano all’improvviso… L’artista è un tipo particolare, diverso da tutti gli altri. L’artista… è artista.
Definisci i discografici.
Come per tutti gli esseri umani, ci sono quelli buoni e quelli meno buoni. Alcuni sono molto talentuosi, altri proprio no.
Definisci i promoter.
Artisti falliti.
Come ti immagini il futuro del lavoro che fai?
Mi viene in mente un’escalation di complicazioni… Proseguendo in quest’avventura, posso dire che le complicazioni aumentano di giorno in giorno: è sempre più difficile per chi si cimenta, assediati come siamo dalla burocrazia. Hai idea di quante decine di firme metto per ogni concerto? Non c’è niente da fare: nonostante produciamo ricchezza e generiamo posti di lavoro, non si può dire che il legislatore si sforzi di creare il contesto ideale per il nostro settore. Insomma: per fare quello che facciamo, ci vuole una grande motivazione. E ce ne vorrà sempre di più.
Al questionario musicale di Proust hanno risposto anche:
Marco Alboni
Claudio Buja
Pico Cibelli
Mimmo D’Alessandro
Marta Donà
Claudio Ferrante
Stefano Lionetti
Roberto Mancinelli
Alessandro Massara
Enzo Mazza
Andrea Pieroni
Roberto Razzini
Andrea Rosi
Federica Tremolada
Claudio Trotta
Franco Zanetti