Il questionario (musicale) di Proust: #16 Andrea Pieroni

Puntata del questionario musicale di Proust all’insegna di hard & heavy: stavolta a rispondere alle domande è Andrea Pieroni, ceo di Vertigo, l’agenzia di promoting che dall’inizio degli anni Novanta è sinonimo di metal e hard rock. Ideatore di festival iconici come Gods of Metal e Rock The Castle,  manager di Manuel Agnelli, produttore del tour mondiale di Eros Ramazzotti, nel 2022 ha pubblicato il romanzo «È solo rock and roll» (Arcana).

Che ascoltatore di musica sei?
Distratto. Per lavoro cerco di ascoltare meno possibile le nuove uscite. I gusti personali non devono influenzare le scelte lavorative, pertanto un ascolto troppo approfondito a mio avviso rischia di farti prendere decisioni sbagliate. Potresti firmare un contratto a sei zeri solo perché magari ti è piaciuto un disco.  E non sono noccioline. Ma non è detto che ciò si traduca in biglietti venduti. Invece il mio ruolo impone di essere un freddo calcolatore che non si fa influenzare dal mondo esterno.
Poi, quando ascolto musica per piacere, quindi raramente, sono decisamente un nostalgico. Ascolto solo classic rock. Tutto il resto non mi interessa. 

Qual è il disco che ti ha cambiato la vita?
Un greatest hits dei Beatles che comprai a dieci/undici anni o giù di lì. Già al primo ascolto si fece prepotentemente strada dentro di me il pensiero che quella musica lì non l’avrei mai più voluta ascoltare. Era orribile. E così uscii di casa e andai comprarmi i dischi degli Stooges, dei Ramones, degli Aerosmith, dei Clash e dei Kiss. A livello temporale eravamo dalle parti del ’78 o del ‘79, non ricordo esattamente.

 Qual è il libro che sta sul tuo comodino?
Per me la letteratura e il rock n’ roll sulle le due cose più belle che possano capitare a un essere umano. E chi per pigrizia o per snobismo non frequenta né l’uno né l’altro campo, beh, lasciamelo dire, non sa cosa si perde. Sono un lettore vorace. Leggo di media un libro a settimana. Ho migliaia e migliaia di libri, sia in formato cartaceo che digitale. In realtà ho molti più libri che dischi. In questo momento sul mio comodino c’è «Robicheaux» di James Lee Burke.

Se potessi tornare a un concerto che per te è stato importante, quale sceglieresti?
Come fan The Clash, nel 1981. Come promoter, Pantera al Forum nel 1994.

Come sei finito a fare quel che fai?
Te la faccio breve, altrimenti stiamo qua una settimana. Come molti di quelli che lavorano in questo business, da ragazzino avevo una band. Un bel giorno sul finire degli anni Ottanta me ne andai a Los Angeles, deciso a sfondare. Ovviamente non successe nulla, ma fu così che venni a contatto con un po’ di gente del giro. Niente di che, nessun personaggio famoso o manager affermato. Intrallazzatori, piantagrane, pesci piccoli, tipi loschi che non davano niente e pretendevano tutto. Quella era la mia gente. Meglio perderli che trovarli, mi dirai. Sì, ma frequentando quella feccia capii che non ero fatto per stare su un palco. Bensì dietro ad un palco. Così tornai in Italia nel 1990, presi la mia collezione di vinili e spulciai tra i credits per trovare i contatti delle agenzie di booking di quel tempo. Dopodiché ripresi il mio zainetto, mi rimisi la bandana (all’epoca avevo i capelli decisamente lunghi), infilai gi stivali, mi riempii di braccialetti e collanine e presi il primo volo per Londra. Lì iniziai a fare il giro delle agenzie, fino a che non trovai qualcuno che mi dette fiducia e mi incaricò di portare in Italia il prossimo tour di una band inglese: i Saxon. E da lì partì tutto.

In un’altra vita che lavoro avresti fatto?
Difficile da dire, perché nella vita ho sempre fatto solo questo. Ho iniziato a vent’anni e dopo trentacinque anni faccio ancora lo stesso lavoro. Per cui non ho l’esperienza per poter dire quale altro lavoro mi piacerebbe fare. Ma se proprio dovessi scegliere, direi il farmacista. L’ho sempre trovato una figata di lavoro. Mi trovo a mio agio tra tutte quelle scatole, per ogni cosa c’è un rimedio. Non trovi anche tu che sia una cosa fantastica? Ah ah ah…

 Qual è il progetto a cui hai lavorato di cui vai più orgoglioso?
Non amo la parola orgoglio, spesso l’orgoglio ti porta su una brutta strada. Diciamo che di quello che ho fatto non butto via niente, ci sono cose buone e altre meno buone. Ma fa parte del gioco, è la vita. Certo che dopo anni che in Italia non c’era un festival metal, essere stato il primo a crederci, a livello personale, è motivo di soddisfazione. Sto parlando del Gods Of Metal, festival nato nel ’97 che è andato avanti per ben diciotto edizioni. Si veniva da un periodo in cui i festival metal con quel format non si facevano più, l’ultimo era stato il Monsters Of Rock del ’92. Pertanto, diciamo che fu un ritorno particolarmente apprezzato dai fan.

 Qual è, invece, l’errore che non ripeteresti?
Alla fine, ogni errore è servito per migliorare e trovare nuovi stimoli. Per cui in qualche modo è stato utile. A stare fermi non si commettono errori. Ma stare fermi è il più grande errore.

Qual è il tuo rimpianto più grande?
Nessuno. Meglio avere rimorsi che rimpianti. Quello che volevo fare l’ho sempre fatto. Poi magari ne ho pagato le conseguenze. Ma se non l’avessi fatto sarei stato peggio.

Puoi riportare in vita un grande della musica di ieri per lavorarci. Chi scegli?
Lemmy. The Ace Of Spades. Ripenso con nostalgia alle serate passate insieme a lui a giocare alla slot machine al Rainbow. Cioè: lui giocava, io passavo di lì.

 Talento, lavoro di team su un progetto, fortuna: cosa conta di più per sfondare nella musica?
Un mix di tutto ciò. Ormai il music business non è più artigianalità e improvvisazione, come era fino a metà degli anni Novanta. Ora si gestiscono grandi capitali e enormi masse di persone. E tutto ciò comporta grandi responsabilità. Ci vuole una grande competenza, un bel sangue freddo e, sì, anche po’ di fortuna.

Definisci gli artisti.
Coloro per i quali, insieme al pubblico, diamo anima e cuore ventiquattro ore al giorno per trecentosessantacinque giorni l’anno. E coloro grazie ai quali abbiamo il privilegio di fare questo lavoro.

Definisci i discografici.
Preziosi alleati che contribuiscono al grande successo della musica nel Ventunesimo secolo

Definisci i promoter.
Inguaribili romantici con la passione per la musica e il piglio degli affari.

Come ti immagini il futuro del lavoro che fai?
Sempre più difficile, sempre più inaccessibile a un giovane che ci vuol provare e sempre più rischioso. Sia a livello economico che a livello di responsabilità personali. In poche parole: un lavoro da fuori di testa.

Al questionario musicale di Proust hanno risposto anche:
Marco Alboni
Claudio Buja
Pico Cibelli
Mimmo D’Alessandro
Marta Donà
Claudio Ferrante
Stefano Lionetti
Roberto Mancinelli
Alessandro Massara
Enzo Mazza
Roberto Razzini
Andrea Rosi
Federica Tremolada
Claudio Trotta
Franco Zanetti