Puntata del questionario musicale di Marcel Proust dedicata all’editoria. A rispondere alle nostre domande, stavolta, è Claudio Buja, presidente di Universal Music Publishing Ricordi. Nato a Sanremo («Eggià…»), laureato in giurisprudenza, ha lavorato come giornalista musicale, poi come discografico e, dal 2001, come editore musicale. «Non chiedetemi cosa vuole dire. Ho ricoperto diversi ruoli negli organi sociali della Siae, con incerte fortune. Mi vanto di insegnare quel poco che so in un paio di università milanesi (Cattolica, Ied) e nel corso di qualche conferenza che faccio volentieri quando mi invitano. Ho una moglie, due figli, un cane, 11mila dischi , 3mila libri e qualche altra cosa meno importante».
Che ascoltatore di musica sei?
Un ascoltatore vorace. Con una collezione di oltre 10mila pezzi (Lp, cd, dvd, cassette). Ora ascolto anche in formato digitale, ovviamente. Molto più comodo, molto meno affascinante.
Qual è il disco che ti ha cambiato la vita?
«Bocca di Rosa» di Fabrizio De André, ascoltata su Radio Montecarlo mentre studiavo, in prima media.
Qual è il libro che sta sul tuo comodino?
Ne ho almeno tre o quattro. Ho appena riletto «Il teatro di Sabbath», di Philip Roth.
Se potessi tornare a un concerto che per te è stato importante, quale sceglieresti?
Paolo Conte all’Arena di Verona. Oppure Tom Waits al Club Tenco, a Sanremo nell’86.
Come sei finito a fare quel che fai?
Rinunciando a un impiego redditizio dopo la laurea e iniziando a scrivere di musica, per poi prendere al volo un’offerta di lavoro presso quella che nell’88 si chiamava Cbs.
In un’altra vita che lavoro avresti fatto?
Lo scrittore, se avessi avuto le capacità.
Qual è il progetto a cui hai lavorato di cui vai più orgoglioso?
L’acquisizione del catalogo Bideri, con «‘O sole mio». E anche «La sposa occidentale» con Lucio Battisti (ma lì il mio contributo è stato minimo).
Qual è, invece, l’errore che non ripeteresti?
Da direttore artistico ho fatto parecchie scelte sbagliate, che cerco di dimenticare.
Qual è il tuo rimpianto più grande?
Ho sempre preferito i rimorsi ai rimpianti; significa che quando ho sbagliato non è mai stato per omissione.
Puoi riportare in vita un grande della musica di ieri per lavorarci. Chi scegli?
Leonard Cohen (e mi perdoni Elvis Presley).
Talento, lavoro di team su un progetto, fortuna: cosa conta di più per sfondare nella musica?
Applicazione, intuito, sintonia con i gusti del pubblico. La fortuna poi conta come in qualunque altra attività.
Definisci gli artisti.
Oggi chiamiamo artisti tutti quelli che hanno registrato un disco. Ma la definizione di artista dipende dalla definizione di Arte, che è il concetto più soggettivo che esiste.
Definisci i discografici.
Tutti i dipendenti di un’etichetta discografica. Possono essere bravi, meno bravi, scarsi. Ma anche questo vale per ogni lavoro.
Definisci i promoter.
Chi organizza concerti e avvenimenti (oggi li chiamano eventi… brrrr) dal vivo.
Come ti immagini il futuro del lavoro che fai?
Ho la fortuna di lavorare in un modo che risente meno di altri dei cambiamenti: cercare autori, assisterli, aiutarli nel loro lavoro, e poi cercare di capire se una canzone può essere un successo; ma anche tenere d’occhio le collecting societies. Non credo che queste cose cambieranno nel futuro prossimo.
Al questionario musicale di Proust hanno risposto anche:
Marco Alboni
Pico Cibelli
Mimmo D’Alessandro
Claudio Ferrante
Stefano Lionetti
Alessandro Massara
Enzo Mazza
Andrea Rosi
Federica Tremolada
Claudio Trotta
Franco Zanetti