Torna il questionario musicale di Proust, tradizionale appuntamento di «Money, it’s a gas!» con le donne e gli uomini che in Italia fanno il music business. Oggi tocca a Sara Pedroni, da febbraio scorso managing director di Believe Italia. Laureata in Economia alla Bocconi, dal 2008 al 2014 ha ricoperto il ruolo di Finance manager e business tansformation manager in Kiver, per poi lavorare in Mondadori nella Pianificazione e Controllo Business. Successivamente è stata cfo presso Advice Group. Tra il 2001 e il 2021 ha ricoperto il ruolo di ceo di Hukapan, la società fondata da Elio e le Storie Tese.
Che ascoltatore di musica sei?
Nasco metallara e rimango fedele al mio imprinting. Ma negli anni ho imparato ad apprezzare la potenza di un’icona pop come Beyoncé o Dua Lipa. Lavorare nella musica mi ha spalancato orizzonti che non immaginavo: oggi ascolto di tutto, con curiosità e gratitudine. La musica è il mio rifugio quotidiano: cuffiette nelle orecchie, e mi isolo dal mondo. Quando posso, evito l’auto per andare in ufficio e mi concedo una passeggiata, proprio per dedicare tempo all’ascolto.
Qual è il disco che ti ha cambiato la vita?
«Appetite for Destruction» dei Guns n’ Roses, 1987. Un disco che ha definito la mia adolescenza e scolpito i miei gusti musicali per sempre.
Qual è il libro che sta sul tuo comodino?
«Le vite nascoste dei colori» di Laura Imai Messina. Un libro che racconta con delicatezza quanto ogni sfumatura porti con sé un mondo di emozioni, storia, linguaggi. È un invito a osservare meglio, anche ciò che diamo per scontato.
Se potessi tornare a un concerto che per te è stato importante, quale sceglieresti?
Guns n’ Roses allo Stadio delle Alpi di Torino, 1992. Con loro sul palco c’erano anche i Soundgarden e i Faith No More. Un momento irripetibile.
Come sei finita a fare quel che fai?
Per una curiosa concatenazione di eventi. Dopo i primi anni in consulenza strategica, mi sono trovata a lavorare con Elio e le Storie Tese nei primi anni 2000. Sono stati tra i pionieri del modello indipendente in Italia, rompendo gli schemi tradizionali dell’industria. Da allora, la musica ha sempre accompagnato il mio percorso professionale. Con Believe, a fine 2020, ho trovato una casa che unisce tutte le anime del mio percorso.
In un’altra vita che lavoro avresti fatto?
La restauratrice all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Ho una passione per i pannelli e i piani in pietre dure e semipreziose del Diciassettesimo e Diciottesimo secolo. La cura, la pazienza, la bellezza eterna: un lavoro silenzioso, ma denso di significato.
Qual è il progetto a cui hai lavorato di cui vai più orgogliosa?
Casa Believe, la nuova sede italiana, è uno spazio che racconta chi siamo. Abbiamo creato un luogo che rispecchia i nostri valori: accoglienza, collaborazione, creatività.
Qual è, invece, l’errore che non ripeteresti?
Aver dato troppo poco spazio alla parte creativa e alla leggerezza. Spesso, nel cercare di rispondere alle urgenze e ai ruoli, si finisce per mettere da parte la dimensione più libera, più personale, più istintiva. Con gli anni, ho imparato che lasciarle spazio non è un lusso, ma un bisogno.
Qual è il tuo rimpianto più grande?
Non parlerei di veri e propri rimpianti. Ho sempre fatto scelte molto consapevoli. Ma ogni tanto mi domando come sarebbe andata se, invece di Economia alla Bocconi, avessi scelto Restauro all’Accademia di Brera. È la mia sliding door: una curiosità che rimane aperta e che, in fondo, continua a ispirarmi.
Puoi riportare in vita un grande della musica di ieri per lavorarci. Chi scegli?
Raffaella Carrà. Un’artista completa, trasversale, libera. Avrei voluto lavorare con lei per valorizzare ogni fase del suo percorso, affiancandola nello sviluppo di una carriera già straordinaria, ma con ancora tanto da esplorare nel rapporto con le nuove generazioni e i linguaggi digitali.
Talento, lavoro di team, fortuna: cosa conta di più per sfondare nella musica?
Il talento è fondamentale, ma da solo non basta. Serve una squadra capace di proteggere, potenziare e tradurre quel talento in un progetto coerente. Vale per l’artista e vale per chi lo accompagna. E poi sì, un pizzico di fortuna fa sempre bene, ma bisogna saperla riconoscere quando arriva.
Definisci gli artisti
Fragili e geniali. Due facce della stessa medaglia.
Definisci i discografici
Traduttori. Sanno trasformare intuizioni in percorsi, sogni in progetti, visioni in risultati.
Definisci i promoter
Equilibristi. Sempre in bilico tra logiche di mercato, aspettative artistiche e vincoli logistici. Ma capaci di rendere possibile la magia del live.
Come ti immagini il futuro del lavoro che fai?
Sempre più ibrido, connesso, fluido. Lavorare nella musica oggi vuol dire stare dentro un sistema in continuo movimento, tra tecnologia, creatività e comunità. Credo in un futuro in cui le aziende musicali sapranno essere inclusive, sostenibili e capaci di mettere davvero le persone — artisti e team — al centro.
Al questionario musicale di Proust hanno risposto anche:
Marco Alboni
Claudio Buja
Pico Cibelli
Gianrico Cuppari
Mimmo D’Alessandro
Roberto De Luca
Marta Donà
Claudio Ferrante
Stefano Lionetti
Roberto Mancinelli
Alessandro Massara
Enzo Mazza
Andrea Pieroni
Cherlie Rapino
Roberto Razzini
Andrea Rosi
Corrado Rustici
Federica Tremolada
Claudio Trotta
Franco Zanetti