Napoli, lo scudetto (del music business) raccontato da Massara, Cibelli e D’Alessandro

Sul terzo scudetto del Napoli avrete letto tutto e il contrario di tutto, tranne l’articolo che state per leggere. Perché, molto probabilmente, c’è un dato che vi sfugge: il music business italiano pur avendo base a Milano ha anche un cuore napoletano, nel senso della fede calcistica. Vi bastino questi tre nomi su tutti: Alessandro Massara, presidente di Universal Music Italy, Pico Cibelli, presidente di Warner Music Italy, e Mimmo D’Alessandro di D’Alessandro & Galli. Tre tifosi eccellenti, tre figure centrali di discografia e live.

Alla vigilia della cerimonia di premiazione che domenica, in occasione di Napoli-Sampdoria, concentrerà gli sguardi degli appassionati sullo stadio Diego Armando Maradona per un evento che sarà anche spettacolo musicale (con Nino D’Angelo, Gigi D’Alessio, Stash di The Kolors e l’immenso maestro Enzo Avitabile, tra gli altri), abbiamo raccolto qualche loro pensiero in libertà sullo scudetto atteso da 33 anni.

«La prima cosa che mi viene in mente», sottolinea Massara, «resta quel quarto di finale di Champions perso in maniera un po’ strana contro il Milan. Non credo ai complottismi, dico che siamo arrivati a quell’appuntamento nel momento peggiore della stagione e siamo usciti. Per il resto, a giugno dell’anno scorso chi si sarebbe mai aspettato tutto questo…»

Il riferimento, ovviamente, è alle cessioni illustri di Mertens, Insigne e Koulibaly. «Erano simboli», continua Massara, «in due casi su tre un po’ in fase discendente per questioni anagrafiche. Devo dire che tra tutte le cessioni, quella di Koulibaly faceva più male. Ma De Laurentiis aveva ragione. Ed è stato bravissimo a scovare un talento come Kim lontano dai riflettori dei grandi club».

Il futuro, a questo punto, diventa il nodo da sciogliere, secondo Massara. «Dobbiamo capire adesso che succede: Spalletti si prende l’anno sabatico. Dal suo punto di vista fa benissimo: bisogna lasciare la barca quando si è al top. Toccherà capire chi viene al posto suo e con che tipo di mandato, ma va detto che De Laurentiis, dopo il titolo, ha un grande credito di credibilità».

C’è qualcosa che il music business e il modello De Laurentiis hanno in comune? «Mi viene in mente l’importanza dello scouting», risponde il presidente di Universal. «Nel nostro settore la sfida più bella continua a essere quella di creare hitmaker dal nulla, scovandoli da “campionati” meno noti, come il Napoli ha fatto con Kvaratskhelia. Certo, poi nella musica, quando ti capita, devi anche essere pronto a cogliere l’opportunità del fuoriclasse che vuole cambiare maglia, soprattutto se lo prendi a un prezzo interessante». Ma c’è un Osimhen nel roster degli artisti Universal? Massara sorride: «Ce ne sono tanti. La nostra fortuna è che in campo non scendono soltanto 11 giocatori come succede nel calcio».

Massara è «napoletano di Napoli» e a Napoli ha trascorso «metà della vita». Cibelli invece è un napoletano nato in terra lombarda: «Mio padre era napoletano, non tifoso di calcio, al contrario di tutta la sua famiglia. La famiglia di mia madre, invece, è tutta interista», racconta. «Da bambino era una gara a portarmi allo stadio e a regalarmi tute azzurre o nerazzurre. Alla fine ha vinto Maradona». Nell’anno del primo scudetto, Pico aveva infatti 10 anni: «Vidi allo stadio Brescia-Napoli, Milan-Napoli… come facevi a non innamorarti di una squadra del genere?»

Dell’era De Laurentiis sottolinea con orgoglio la rinascita dalla Serie C. «Al sabato pomeriggio, ore 15, appuntamento fisso con Sky per vedere partite come Napoli-Cittadella. Un vicino di casa, un giorno, mi ferma per le scale e mi fa: “Pico, anche tu come me segui il calcio inglese? Ti ho sentito gridare”. Vagli a spiegare che esultavo per un gol di Calaiò».

Anche da parte di Cibelli massima fiducia in Adl, «personaggio controcorrente, qualche volta provocatorio nei confronti del sistema, ma il bello è che spesso e volentieri ha ragione. Come direttore sportivo non siamo andati a prenderci il Marotta dalla Juve, come ha fatto l’Inter, ma Giuntoli dal Carpi. Per fare scelte del genere devi essere un visionario con i piedi piantati per terra. Doti che servono anche nella discografia, così come serve l’attenzione particolare nei confronti dei giovani che De Laurentiis ha mostrato di avere».

Più in generale, «quando hai di fronte un sistema malato come quello del calcio, rifugiarsi nella logica del “si è sempre fatto così” è profondamente sbagliato. E De Laurentiis va esattamente in quella direzione. Quando la discografia fu sotto attacco per la crisi di Napster, pochi capirono che limitarsi a fare causa a Napster era il modo sbagliato per provare a risolvere il problema. Ci siamo salvati perché qualcuno, a un certo punto, ha capito che dalla stessa tecnologia doveva arrivare la strada per tornare in utile. Ci siamo salvati perché, a un certo punto della storia, è arrivato un visionario con i piedi piantati per terra». Alla domanda su chi è l’Osimhen della Warner, Cibelli risponde senza esitare: «Geolier. Nessun dubbio».

In partenza per Napoli è Mimmo D’Alessandro: «È un periodo infernale per il settore dei concerti. Abbiamo mille cose in ballo. Però non voglio sapere niente: mi prendo tre giorni, mi infilo la numero 10 originale con lo scudetto, regalatami da Diego, e vado allo stadio. Sabato mattina prove con Enzo Avitabile. La domenica a cantare e a commuoverci tutti insieme di fronte a questo storico traguardo». Curioso dal punto di vista della storia di D’Alessandro che la partita della consegna del trofeo nelle mani del capitano Di Lorenzo sia proprio Napoli-Sampdoria. Perché quella stessa numero 10 scudettata Mimmo provò a farla indossare a Paul McCartney nel ’91, ma Macca si ricordò del gol con la mano all’Inghilterra e preferì ripiegare sulla maglia blucerchiata. E per la Sampdoria fa il tifo Enrico D’Alessandro, figlio di Mimmo al timone della Prima Estate.

Tornando ai giorni nostri «ci lasciamo alle spalle una annata indubbiamente eccezionale», sottolinea Mimmo, «ma, sul futuro, devo dire che sono molto ottimista. Credo in questa società, mi fido di De Laurentiis e di Chiavelli che ci hanno portato fin qua. Ho la sensazione che non smantelleranno un bel niente. Anzi… Perderemo Kim perché ha la clausola e lì non puoi farci niente, ma resteranno tutti gli altri e apriremo un ciclo. Tutti gli anni ce la giochiamo, siamo l’unica squadra italiana da 14 anni consecutivi in Europa: significherà pur qualcosa?»

Anche sul nuovo tecnico, D’Alessandro è fiducioso: «Non mi dispero per la perdita di Spalletti, anche se gli sono grato per questo scudetto. Il nome che vorrei sulla panchina del Napoli l’anno prossimo è quello di Thiago Motta, un giovane bravo che a Bologna ha dimostrato, un predestinato, uno che già quando giocava sapeva essere allenatore in campo. Vedrei bene anche un ritorno di Benitez, ma mi sembra una prospettiva più difficile. Non dobbiamo dimenticare che Benitez è quello che ha internazionalizzato il Napoli».

D’Alessandro si sofferma quindi sul momento che sta attraversando la città: «C’è un entusiasmo che si tocca con mano. Lo sento nelle parole degli artisti napoletani, nell’affetto del pubblico che vuole venire allo stadio. Amedeo Bardelli di Ticketone mi ha raccontato che, con le prevendite di Napoli-Sampdoria, avremmo potuto riempirci sei volte il Maradona. Sono contento. E sono convinto che non finisce mica qua». Insomma: questo Napoli sembra «Future proof», a prova di futuro, come il brano dei Massive Attack. Il cui fondatore, Robert Del Naja, oltre a essere molto probabilmente l’uomo che si nasconde dietro lo street artist Banksy, è un tifoso di calcio sfegatato. Di che squadra? Che domande: Napoli, ovviamente.