Prima della pausa delle vacanze pasquali, ci concediamo una nuova puntata del questionario musicale di Proust: oggi tocca a Roberto Razzini, managing director di Sony Music Publishing Italia. Alle dipendenze del gruppo editoriale multinazionale Warner Chappell Music per 31 anni, dove ha ricoperto i ruoli di head of inernational, direttore editoriale e ad di Warner Chappel Music Italia, Razzini ha gestito rapporti di collaborazione con artisti di primaria importanza, tra i quali Burt Bacharach, Red Hot Chili Peppers, Green Day, Madonna e Neil Young. Dal novembre 2018 è membro del Consiglio di gestione di Siae. È autore del libro «Dal Vinile a Spotify: quel che resta sono le canzoni», edito da People.
Che ascoltatore di musica sei?
Seriale e compulsivo. Ascolto di tutto cercando di approfittare della disponibilità offerta dalle piattaforme di streaming, senza farmi influenzare dagli algoritmi.
Spazio nei generi, anche attraverso le diverse generazioni dei vari artisti, internazionali e nazionali. Una leggera predilezione per il rock e il pop rispetto al resto. Una velata avversione verso il rap e la trap, probabilmente solo per un fatto anagrafico, avversione che supero per ovvie esigenze professionali.
Qual è il disco che ti ha cambiato la vita?
Vorrei citarne due: «Parsifal» dei Pooh e «Jesus Christ Superstar». Due album, uno singolo e l’altro doppio, del 1973 diversamente simili. Due album che ancora oggi trovo molto interessanti, sia come scrittura che come sonorità, con musiche e liriche scritte, orchestrate e suonate con grande maestria.
Qual è il libro che sta sul tuo comodino?
Il libro che tengo sul comodino in formato cartaceo è «L’arte della guerra». Invece, in formato digitale, girano con maggior frequenza i volumi di Jeffrey Deaver, Dean Koontz, Wilbur Smith, Stephen King.
Se potessi tornare a un concerto che per te è stato importante, quale sceglieresti?
La presentazione dell’album «Painted from Memory» di Elvis Costello e Burt Bacharach all’Universal Theater a Burbank nel 1998, seguito dal concerto di Bacharach con la sua orchestra.
Come sei finito a fare quel che fai?
Grazie alla mia grande passione per la musica e per le emozioni che solo la musica sa regalare. Nonostante gli anni di lavoro a lei dedicati, continuo a restare affascinato con grande entusiasmo dalla capacità della musica di rinnovarsi grazie alla tecnologia, continuando a rilasciare primordiali emozioni.
In un’altra vita che lavoro avresti fatto?
Se non avessi avuto questa passione smisurata per la musica, avrei scelto un’attività che mi avrebbe portato a contatto con la natura e gli spazi aperti, senza i vincoli strutturali e i ritmi frenetici di una grande città come Milano.
Qual è il progetto a cui hai lavorato di cui vai più orgoglioso?
Il musical «Balliamo sul Mondo» scritto da Chiara Noschese e Luciano Ligabue, ispirato e basato sulle canzoni di Luciano. Un progetto che ha avuto una lunga gestazione e che ha dovuto interrompere una sua più ampia e meritata diffusione a causa della pandemia.
Qual è, invece, l’errore che non ripeteresti?
Essere troppo diretto e irruente. Soprattutto all’inizio del mio percorso professionale; non ho mai ricercato a sufficienza la mediazione.
Qual è il tuo rimpianto più grande?
Non aver vissuto la mia professione in anni di grande splendore creativo come il decennio a cavallo degli anni Sessanta e Settanta.
Puoi riportare in vita un grande della musica di ieri per lavorarci. Chi scegli?
Uno solo? Troppo limitativo. Sarebbe poco poter scegliere uno solo tra i grandi artisti, autori e produttori del passato che ci hanno lasciato, soprattutto in questi ultimi anni. Sono già molto fortunato, felice e orgoglioso di quelli con i quali ho collaborato e sto collaborando.
Talento, lavoro di team su un progetto, fortuna: cosa conta di più per sfondare nella musica?
Credo che servano tutti questi elementi per raggiungere il successo. Le percentuali possono variare a seconda dei periodi storici o delle circostanze, ma nella carriera artistica, come nella vita, contano tre elementi che io identifico con le tre «C»: Cuore, Cervello e…
Definisci gli artisti.
L’artista è una persona che rappresenta un insieme di peculiarità molto specifiche: talento, sensibilità, empatia, personalità, carisma e comunicativa. Le diverse percentuali di ciascuna di queste caratteristiche rendono un artista diverso da un altro e quindi semplicemente unico.
Definisci i discografici.
Coloro i quali percepiscono prima degli altri queste caratteristiche e si mettono al servizio degli artisti affinché possano concretizzare e razionalizzare la loro arte, il loro talento, il loro istinto e portarlo sul mercato.
Definisci i promoter.
Coloro i quali rendono ciò che viene teorizzato e immaginato dal pubblico, nell’ascolto di un album, di un repertorio, di un artista, un’esperienza reale e unica. Portando gli artisti sul palco, in tour, si dà concretezza e realtà all’esperienza più elevata della musica: l’aggregazione e la condivisione.
Consentimi però di spendere due righe per la categoria degli editori musicali, alla quale io appartengo ormai da oltre 30 anni. Noi siamo quelli che condividono, con gli autori, la ricerca, la gestazione e la nascita delle nuove canzoni, dei nuovi repertori che poi l’intero «sistema musica» inserirà nei propri meccanismi per far diventare questi brani inediti i successi del domani.
Come ti immagini il futuro del lavoro che fai?
Facendo l’editore musicale e occupandomi della gestione della creatività degli autori e dei diritti editoriali, mi immagino il mio lavoro nel futuro molto simile a come lo svolgo ora: ricerca e sviluppo, assicurandosi, direttamente o per il tramite della società di gestione collettiva, che ogni forma di utilizzo della musica sia correttamente e coerentemente remunerata.
Al questionario musicale di Proust hanno risposto anche:
Marco Alboni
Claudio Buja
Pico Cibelli
Mimmo D’Alessandro
Claudio Ferrante
Stefano Lionetti
Alessandro Massara
Enzo Mazza
Andrea Rosi
Federica Tremolada
Claudio Trotta
Franco Zanetti