Alla vigilia di Sanremo Geolier era il bersaglio preferito della gran parte dei napoletani: colpa dell’utilizzo un po’ disinvolto della lingua dei padri in «I p’ me, tu p’ te». Arrivati alla fine del Festival, è diventato l’ennesima icona cittadina. Merito del pubblico dell’Ariston che, nella serata di venerdì, alla proclamazione del vincitore della sfida delle cover ha fischiato il rapper napoletano e in alcuni casi anche abbandonato la sala. Una reazione di pancia, quella di uomini chic e donne impellicciate in platea, che per paradosso potrebbe addirittura segnare l’esito di questa edizione di Sanremo: perché l’Ariston, contestando Geolier, ha difatti indetto un referendum su Napoli che molto probabilmente catalizzerà ancora di più i consensi sull’artista di Secondigliano.
Cos’è Geolier (nella foto Ansa con Gigi D’Alessio) lo sappiamo: un cantante e, in quanto cantante, potrebbe piacere o meno. Ma sappiamo anche cosa non è: non è un parvenu della musica, un illustre sconosciuto alla prima uscita pubblica. Ha una major – Warner Music – dietro le spalle. Ha nel curriculum «Il coraggio dei bambini», l’album più ascoltato del 2023. La sua «I p’ me, tu p’ te» è il singolo più ascoltato in classifica Fimi GfK a meno di una settimana dall’inizio del Festival. Ed è l’artista del Festival che ha visto crescere maggiormente i propri follower su Instagram nei primi tre giorni della kermesse. Ha una fanbase solida che va da Napoli a Milano, da Roma a Torino e forse tocca pure Bergamo e Verona. Questo forse non solo non è chiaro agli uomini chic e alle donne impellicciate dell’Ariston, ma anche a molti addetti ai lavori.
Se non conoscete Geolier non è un problema geografico, più probabilmente è un problema generazionale: il pubblico del Festival è cambiato (lo dimostrano i dati Rai sugli ascolti), è ringiovanito e ha finito col sovrapporsi per fascia di età con il pubblico delle piattaforme di streaming. Che poi è il pubblico dei Blanco, dei Lazza, dei Geolier. Anzi: a Napoli in tanti non apprezzano Geolier, trovano troppo standardizzato il racconto della città che più di tutte, in Italia, tendiamo a rappresentare attraverso stereotipi. Ma la sensazione è che stasera anche i napoletani che non lo apprezzano potrebbero votarlo. Perché Napoli dal 1861 sa bene cos’è la sindrome dell’assedio. E lo diciamo da napoletani. Stasera la musica c’entra fino a un certo punto: stasera potremmo vedere quella cosa che una volta si chiamava voto identitario.