Pinguini Tattici Nucleari, non dite che non vi era stato detto

Questo articolo lo scrivemmo paro paro per IL, glorioso magazine del Sole 24 Ore, il 30 settembre 2019, giorno in cui fu annunciato il primo forum d’Assago dei Pinguini Tattici Nucleari. Non era la prima volta che ci occupavamo dei Ptn, ma stiamo comunque parlando di un’epoca prima del Sanremo 2020 di «Ringo Starr», prima del Covid e dei relativi lockdown che rimandarono di due anni quel tour nei palazzetti, prima di passaggi radio, passaggi tv, dischi di platino, pastelli bianchi eccetera ecccetera. Rispetto ad allora sono cambiate tante cose, ma la sostanza no. La sostanza continua a fare la differenza nel caso dei Pinguini Tattici Nucleari. A gentile richiesta, nei giorni del tour negli stadi riproponiamo integralmente l’articolo. Citando i primi Eelst, per lungo tempo citati in maniera più o meno opportuna per inquadrare i primi Ptn: non dite che non vi era stato detto.

Vedrai, anche tu diventerai un Pinguino

Alla fine succede per davvero. Nuntio vobis gaudium magnum: i Pinguini Tattici Nucleari suoneranno al Forum di Assago, l’arena al chiuso più capiente e prestigiosa di Lombardia che, quando si parla di musica dal vivo, resta il primo mercato d’Italia. Un palazzetto da 12mila e rotti posti disponibili ai piedi di sei magnifici perdenti della Val Seriana, il che è, come dire, una specie di mondo all’incontrario. Trattandosi della band meno scontata in circolazione, succederà in un giorno non banale: il 29 febbraio di un 2020 che sarà anno bisesto e – speriamo – pure un po’ funesto per tutta quella robaccia che affolla l’airplay del Bel Paese. Comunque la vogliate mettere, i ragazzi alzano l’asticella.

No, non siamo parenti
Non ci giriamo intorno, chi ci segue lo sa: abbiamo un debole per i Pinguini. E da tempi non sospetti. No, non siamo parenti. Loro suonano in una polverosissima sala prove piena di improbabili reliquie heavy metal ad Albino, ridente cittadina che per noi rievoca ricordi dolorosi: quell’1-0 che un Napoli in maglia rossa subì dall’Albinoleffe dell’indimenticabile Mondonico ai tempi della Serie B. Non siamo neanche amici, non dobbiamo esserlo: «L’amicizia è il liquore che le rock band danno a chi scrive di musica. Vogliono che ti ubriachi e che ti senti parte del gruppo», diceva Lester Bangs, nostro riferimento massimo. E i giornalisti amici delle band sono la morte del giornalismo musicale. Dei Pinguini noialtri siamo vittime, nel senso che due anni fa hanno ucciso una delle nostre più grandi certezze: quella che la musica italiana, nella sua accezione artistica, fosse finita per sempre.

E all’improvviso, Irene
Non vedevamo gente capace di scrivere cose interessanti nella generazione dei ventenni, schiacciata tra il nuovo folklore della trap e l’equivoco indie. E pure su parecchi trentenni avevamo le nostre belle riserve. Poi ti spunta fuori un pezzo come Irene, che – tra l’altro – ha appena messo in bacheca il Disco d’Oro, cantata da questo tizio con i denti larghi, gli occhi chiari e la barba di qualche giorno che sembra il primo De Gregori precipitato nell’epoca della gig economy. Quel verso lucidissimo: «La musica il pane quotidiano lo dà solo a chi è celiaco». Il video con quest’altro tizio col baffetto che è un po’ Jack Black e un po’ Giuseppe Battiston, un ragazzone malinconico che se ne sta sdraiato sul letto, impegnato in una specie di dialogo muto con una ragazza. Un dialogo sull’impossibilità dell’amore e, insieme, l’impossibilità del non amore. Un pezzo che rimarrà.

Non prendiamoci sul serio
E ti dici: ah, sì, i Pinguini. E ti ricordi di quel video che tuo figlio aveva pescato su YouTube, dove perculavano il nascente sovranismo al grido di «Me Want Marò Back», riducendo le nuove destre a un teatrino di calzini. E ti ricordi pure di quel collega che te ne aveva parlato a lungo a mensa, perché la figlia aspettava con trepidazione la data torinese dei Pinguini, creature un po’ singolari, ma di intelligenza superiore. Poi ti spuntano fuori Tetris e Sciare e il quadro diventa molto più chiaro. Questi sanno suonare e sanno scrivere, fanno musica terribilmente seria senza prendersi sul serio. E non hai dubbi, ti scappa la profezia: questi sono la next big thing dell’itpop.

Abbiamo visto cose
Li abbiamo visti crescere tanto, i Pinguini Tattici Nucleari, in questi due anni. Dal vivo ai Magazzini Generali, sotto contratto con Sony dall’album Fuori dall’Hype (2019), dal vivo all’Alcatraz, mattatori al Concertone del Primo Maggio, tour da complessivi 60mila spettatori, gruppo supporter al “Jova Beach Party”, il singolo Verdura che pure si avvia al traguardo del Disco d’Oro. Certe cose ci sono piaciute moltissimo (Lake Washington BoulevardNo no noScatole), altre proprio no (La banalità del mareMonopoli), fa parte del gioco. I ragazzi sono cresciuti tanto, quanto non ti aspetteresti da una college band che arriva dalla provincia, si è autoprodotta i primi tre dischi, potrebbe suonare prog ma deve spesso combattere contro una vulgata che li vuole demenziali, quasi tardi epigoni di Elio e le Storie Tese. Poco a fuoco, direbbero quelli bravi. Che poi sono gli stessi che dicono che Tommaso Paradiso è un genio, quindi fate voi.

A ciascuno il suo bipede
Al contrario: non c’è pinguino che non sia a fuoco. A cominciare dal front leader Riccardo Zanotti, cantante e autore di tutte le canzoni, da poco entrato nel roster di Bmg a forza di pezzi costruiti artigianalmente come Scatole, che – come dice qualcuno – avrebbe meritato il Premio Tenco. Se soltanto l’avessero iscritta al Premio Tenco. Zanotti compone in equilibrio tra due estremi: Andrea Appino e Jovanotti, l’introspezione folk rock e il calembour pop. Un fuoriclasse autonominatosi portavoce di tutti gli sfigati del mondo. C’è Elio Biffi, faccia da cinema, larper medievalista, pettirosso da combattimento a petto nudo quando suona le tastiere. Lorenzo Pasini, virtuoso della chitarra elettrica, è il grande reduce della stagione hard & heavy della band, mentre Nicola Buttafuoco, apostolo atalantino di Frusciante, è quello che funkeggia sui cantini. Al basso Simone Pagani, braccia rubate al jazz e al repertorio beatlesiano. Alla batteria Matteo Locati, professore all’accademia degli ostinati. A ciascuno il suo Pinguino.

Ci vedremo all’oratorio?
Questi sono la “next big thing” dell’itpop e, da qui alla data del Forum di Assago, si capirà ancora di più. Anche se gran parte della stampa che conta se li è filati poco e le radio non li hanno considerati radiofonici. Vedrete come faranno la fila per salire sul carro al momento opportuno. Beccatevi ‘sta profezia, tié. Anche se, con qualche sforzo produttivo in più, si sarebbe persino potuto accelerare questo processo. Fa niente. In fondo, certe volte, come diceva Kafka è persino un bene «lasciare dormire il futuro come merita. Se lo si sveglia prima del tempo, si ottiene un presente assonnato». Noi, come si addice a una band nata in oratorio, aspetteremo che il tempo si compia. Nella certezza che Zanotti non sarà mai la stessa cosa di Appino, nella beata speranza che non diventi un altro Jovanotti. Resta da capire se pagherà la scommessa: in un memorabile post su Facebook, in caso di eventuale sold out al Forum prometteva un concerto all’oratorio, un ritorno alle origini, parroco permettendo. Vedremo. Il tempo è galantuomo e, in tutto questo tempo, forse un po’ amici dei Pinguini lo siamo diventati. In fondo tutti quelli che li ascoltano lo sono. Che avrebbe detto Lester Bangs? Massì che lo sapete: «Se vuoi essere vero amico di una band, sii onesto. E sii spietato».