Max Gazzè rilegge i Pink Floyd live a Pompei: la recensione di un floydiano doc

Pompei resterà legata ai Pink Floyd nei secoli dei secoli amen. Il concerto “Pompeii Echoes, Max Gazzè – Immersive Experience”, tenutosi nell’anfiteatro del Parco archeologico venerdì 21 ottobre e trasmesso sulla piattaforma di streaming Itsart, è soltanto l’ultimo evento celebrativo dedicato al memorabile live show del 1971. Il tema ci è caro, lo sapete: non per niente il nostro blog si chiama «Money, it’s a gas!». L’esperimento ci incuriosiva, per questo abbiamo deciso di affidarne la recensione a un floydiano doc: Rosario Paolillo, grande conoscitore del verbo del quartetto di Cambridge, uno che non si è perso un pezzo della loro discografia e – mettendo insieme Pink Floyd, Roger Waters, David Gilmour, Rick Wright e Nick Mason – negli ultimi 30 anni ha assistito a una quindicina di show floydiani tra Roma, Milano e Londra. Uno che conosce a memoria note di copertina e riff della band inglese. Ecco le sue impressioni sulla “versione” di Gazzè del Live at Pompeii.

 

Per chi è nato da quelle parti ed era un adolescente sul finire gli anni Ottanta è molto probabile che l’interesse per un certo tipo di musica scoppiasse in due modi: con il passaggio a Cava de’ Tirreni (all’epoca soprannominata la Città dei Concerti) di qualche band o artista di fama internazionale: Pink Floyd, Dire Straits, Prince, Tina Turner e tanti altri, solo per citarne alcuni. Oppure perché durante una gita scolastica presso gli immancabili “Scavi di Pompei”, in perfetto mood giovanile, si fosse più attratti dal famoso e curioso “Pink Floyd – Live at Pompeii” che dai sorprendenti e angosciosi calchi delle vittime dell’eruzione del 79 d.C. D’altronde in quegli anni la vicinanza temporale a quell’atipico concerto, registrato nell’ottobre del ’71 dalla band inglese, era ancora così forte e non “storicizzato” e tutto questo ti faceva sentire un “sedicenne alternativo”. Poi si sa, gli anni passano e gli eventi si cristallizzano. Alcuni perdono smalto, altri si mitizzano ancora di più. Il Live at Pompeii è uno di quelli che appartiene alla seconda categoria, per una pletora di motivi che non stiamo qui a sviscerare. Arriviamo ad oggi: siamo in un’epoca in cui gli anniversari e le rivisitazioni diventano delle glorificazioni che spesso si dipanano con una serie di eventi, i quali cominciano prima di un cinquantenario e terminano anche qualche anno dopo. È il caso di “Pompeii Echoes, Max Gazzè – Immersive Experience”, uno show unico nel suo genere tenuto presso l’Anfiteatro romano, organizzato dal Parco Archeologico di Pompei, Tim, Magister Art, OTR live e Gsnet, una serie di partner culturali e tecnologici di indubbio valore (per completezza, ad alcuni settori del parterre, erano a disposizione degli smartphone brandizzati Tim che permettevano di godere, in double screen, le animazioni in sovraimpressione, fruibili invece dalla diretta streaming).

E non importa se da quasi cinquantenni, quando si ritorna in Anfiteatro, l’emozione resta sempre la stessa, forte, rituale e costantemente da prima volta. Ore 20.30 il “pliin” di Echoes squarcia la sospensione temporale che si vive solitamente in quel contesto. L’esecuzione dei brani è piuttosto fedele. La setlist snocciola tutti i brani del famoso “Live at Pompeii”: Echoes, One of these days, Set the controls for the heart of the sun, A saucerful of secret e poi, come se la musica prendesse il sopravvento, parte una versione embrionale di “On the run” (esattamente com’era presente nel film di Adrian Maben, il quale riprendeva i Floyd alle prese con la realizzazione del loro capolavoro, “The dark side of the moon”).

Ed è proprio “On the run” che di fatto diventa il “là” per la seconda parte del concerto-evento. Come dicono i fan dei Floyd, se parte “Time”, alla fine l’album “Dark Side” lo senti tutto. E così accade: Max Gazzè e la sua Band eseguono per intero il disco del prisma, di cui ci piace citare una sorprendente e fedelissima “The great gig in the sky” ed una potentissima “Us and them” (guest vocal, Manuel Agnelli in una serie di pezzi). Potrebbe già bastare, ma è troppo ghiotta l’occasione. Ed in quel momento, da vecchio fan dei Floyd, mettendo da parte i soliti ed ormai noiosi giudizi e confronti, comprendi che il processo di storicizzazione della produzione musicale floydiana è definitivamente accaduto, sia per chi esegue che per chi assiste. L’ardito paragone è dietro l’angolo: dei musicisti eseguono brani dei Floyd, come si esegue una composizione di Mozart o una sinfonia di Beethoven. Ed è con questo spirito che il pubblico si gode una languida ed insolita “If”, adattissima alle corde artistiche di Gazzè, e un finale inaspettato con “The happiest day of our lives” e “Another brick in the wall, part 2”.

In altri tempi un fan più ortodosso avrebbe storto il muso per questa svolta pop nel sacro tempio del Parco Archeologico di Pompei, ma non è più l’epoca di questi pregiudizi e ti sciogli come neve al sole all’ingresso del numeroso coro di ragazzi che intonano a squarciagola: “Hey! Teachers! Leave them kids alone!”. Il resto è una discesa verso il finale. Il pubblico, composto, applaude. La diretta streaming su ITsArt termina, con una altissima inquadratura da un drone, che scorgi da uno schermo di servizio in regia, dove il disco volante psichedelico dell’anfiteatro diventa sempre più piccolo, abbracciato delle placide luci di una sonnolenta Pompei. Sarà un concetto abusato, ma quell’immagine è di kubrickiana memoria, connubio artistico per altro mai avvenuto con i Floyd, ma sempre raccontato nell’aneddotica della band. Gazzè si intrattiene a salutare gli intervenuti, in un clima piuttosto conviviale e rilassante. La messa cantata è terminata, come direbbero gli addetti ai lavori, un po’ maliziosamente e un po’ con senso calzante. Ci rechiamo verso l’uscita, appagati e soddisfatti. Pronti alla prossima celebrazione.