Il questionario (musicale) di Proust: #4 Claudio Ferrante

 A Marcel Proust è attribuito uno dei più celebri questionari di intrattenimento sociale della storia. Qui a Money, it’s a gas! lo abbiamo riarrangiato a uso dei protagonisti del mondo della musica e del music business. Stavolta tocca a Claudio Ferrante, presidente e fondatore di Artist First, società italiana di distribuzione e servizi su misura per artisti e imprenditori musicali italiani nata nel 2009. Ferrante proviene dalla storica etichetta indipendente Carosello che sotto la sua direzione, nel 2002, viene decretata dalla stampa «etichetta indipendente dell’anno». Dal 2011 ricopre anche la carica di docente del laboratorio di processi aziendali del Master in Comunicazione dell’Industria Discografica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Oggi Artist First è una holding sviluppata sul modello 360 gradi che si occupa di distribuzione digitale, vendita di merchandising e organizzazione di concerti live ed è proprietaria dell’agenzia di management 432 che assiste numerosi artisti tra i quali Mace, Francesco Gabbani, Le Vibrazioni.

 

Che ascoltatore di musica sei?
Vivo completamente immerso nella musica. Amo la ricerca, il viaggio attraverso i concetti.

 Qual è il disco che ti ha cambiato la vita?
L’omonimo di Seal, 1994. 

Qual è il libro che sta sul tuo comodino?
Uno al mese almeno, l’ultimo è «Napoli ‘44» di Norman Lewis

 Se potessi tornare a un concerto che per te è stato importante, quale sceglieresti?
Abbastanza recente: Ennio Morricone, Arena di Verona, 2015.

Come sei finito a fare quel che fai?
A 14 anni frequentavo gli studi di Radio Kiss Kiss a Napoli, in cui trasmettevano alcuni conoscenti all’epoca molto più grandi di me: Gianni Simioli, oggi a Rtl 102,5, era uno di loro. Ero stregato dal mondo della radio, delle discoteche. Iniziai a fare il Dj, l’idea di prendere parte alla produzione di un disco mi elettrizzava, per puro caso conobbi dei musicisti che smanettavano con i computer e provai a immaginare dei brani prodotti da me.

In un’altra vita che lavoro avresti fatto?
Il produttore nel mondo dell’intrattenimento musicale, quello che già faccio.

Qual è il progetto a cui hai lavorato di cui vai più orgoglioso?
Sempre l’ultimo progetto che porto al successo con un mio investimento.

Qual è, invece, l’errore che non ripeteresti?
Quello di affidarmi solo a un’intuizione. È come il talento: l’intuizione, senza una metodologia ben precisa, porta al fallimento.

Qual è il tuo rimpianto più grande?
Non aver avuto il coraggio di licenziarmi quando il mio capo di allora in Carosello – correva l’anno 2000 – decise di non cedere alle mie insistenze di investire in quello che sarebbe stato il penultimo album di Giorgio Gaber, «La mia generazione ha perso». Fu una delle più grandi delusioni della mia vita… Lì però parte della colpa fu dell’allora presidente di Universal, Piero La Falce, la società che all’epoca distribuiva la Carosello. Considerava Gaber un artista troppo legato al teatro per poter vendere i dischi. L’album uscì nel 2001 ed entrò primo in classifica vendendo oltre duecentomila copie.

Puoi riportare in vita un grande della musica di ieri per lavorarci. Chi scegli?
Giorgio Gaber, quello che ha scritto è ancora attualissimo.

Talento, lavoro di team su un progetto, fortuna: cosa conta di più per sfondare nella musica?
Conta il talento, certo, ma senza metodo, lavoro duro e sacrifici non esistono carriere. Il fattore fortuna poi a volte è determinante.

Definisci gli artisti.
Egoriferiti.

Definisci i discografici.
Vanitosi.

Definisci i promoter.
Rapaci.

Come ti immagini il futuro del lavoro che fai?
Me lo immagino sempre come una costante rincorsa al cambiamento: quando i cambiamenti si anticipano, allora si è già nel futuro. Comunque, questo è il lavoro di chi naviga sempre a vista.

 

Al questionario (musicale) di Proust hanno risposto anche:
Marco Alboni
Mimmo D’Alessandro
Alessandro Massara
Enzo Mazza
Andrea Rosi
Federica Tremolada
Franco Zanetti