Concerti in streaming sì, ma se paga il marketing

Fa male al cuore vedere immagini come quelle del flash mob dei lavoratori dello spettacolo di sabato 10 ottobre a Milano: hanno ragione da vendere quando dicono che per loro il lockdown non è mai finito. E l’assenza di prospettive, per il settore, non incoraggia certo a essere ottimisti: con le attuali soglie di partecipazione di pubblico, diventa difficile immaginare un futuro per i concerti. Figuriamoci cosa potrebbe mai accadere nel caso in cui si dovesse tornare a uno stop completo delle attività live. Si è detto: diversifichiamo l’offerta di spettacoli, investendo sui concerti in streaming a pagamento. Anche i grossi nomi, a livello internazionale, si stanno muovendo in questa direzione: Dice, per esempio, ha trasmesso in tutto il mondo le esibizioni di Bjork e Nick Cave, mentre Live Nation, colosso statunitense del promoting, ha annunciato per la notte del 24 ottobre il concerto in streaming di Billie Eilish, sulla piattaforma Maestro. Anche i Bts, astri indiscussi del fenomeno K-pop, hanno sperimentato con successo questa strada, incassando a giugno qualcosa come 24,4 milioni di dollari. Ecco, nutriamo più di un ragionevole dubbio che la formula qui in Italia possa rivelarsi efficace.

Partiamo da una banale ovvietà: i concerti in streaming a pagamento non potranno mai rappresentare a tutti gli effetti un’esperienza «sostitutiva» rispetto a uno spettacolo «in presenza». Tuttavia, particolari precondizioni potrebbero determinarne il successo. Un artista seguito in tutto il mondo (come appunto Bjork, Nick Cave, Billie Eilish e i Bts), tanto per cominciare, ha per esempio dalla sua un bacino potenziale di spettatori che potrebbe assicurare il breakeven alla produzione. L’eccezionalità dell’evento, poi, è il vero valore aggiunto: siamo sicuri che se i Led Zeppelin organizzassero una benedetta reunion con Jason Bonham alla batteria, se Paul McCartney e Ringo Starr attingessero a piene mani dal repertorio dei Beatels o ancora se Roger Waters, David Gilmour e Nick Mason riportassero in scena ciò che resta dei Pink Floyd, sarebbe un successo planetario. Già nel 1970 un certo Jimi Hendrix, sull’onda lunga del successo del film «Woodstock», si immaginava un futuro di pochi concerti l’anno ripresi dalle telecamere e trasmessi in tutto il mondo. In Italia, però, non abbiamo né artisti con una platea di pubblico internazionale, né mostri sacri che potrebbero rendersi protagonisti di live epocali, gli unici concerti in streaming a pagamento davvero degni di essere visti.

Poi c’è il tema dei precedenti. In Italia il modello finora sperimentato è quello di «Heroes», il concerto evento trasmesso dall’Arena di Verona lo scorso 6 settembre con un cast che comprendeva l’intero arco costituzionale dell’italica canzonetta. Com’è andata? Secondo quanto scritto in un post Linkedin da Luca Seminerio, ceo di Musa, «ha registrato circa 38.000 spettatori di cui però (solo) 9.000 a pagamento a 10 euro, il resto sono omaggi forniti dai brand sponsor e partners». Lo sbigliettamento elettronico, insomma, non è andato un granché e si può anche capire il motivo: troppo variegata la line-up (chi è fan di Brunori difficilmente lo è anche di Fedez e viceversa), troppo risicati gli spazi per gli artisti (giusto due canzoncine a testa), non aiutava la presenza, a due giorni di distanza, di un altro evento nella stessa location con quasi lo stesso cast trasmesso gratis da un’emittente televisiva. Perché devo pagare 10 euro se, due giorni più tardi, ho l’opportunità di guardare più o meno lo stesso spettacolo gratis? C’è però il tema marketing da non sottovalutare: non sappiamo quanto l’evento «Heroes» abbia incassato dai brand che lo promuovevano. E proprio il marketing, qui da noi, potrebbe rappresentare una chiave di volta per il segmento dei concerti in streaming: difficile immaginare eventi che si sostengano con i soli biglietti acquistati dai fan, già più realistico immaginare accessi regalati da questo o quel marchio come premio fedeltà o incentivo all’acquisto dei propri prodotti. Per chi non l’avesse capito: il marketing, nel mondo del dopo Covid, sarà un asset ancora più importante per il music business.