A Ferragosto si portano l’anguria e i giochi di società. Non potendo offrirvi una fetta d’anguria, «Money, it’s a gas!» propenderà per la seconda opzione: un bel gioco di società legato alla ricorrenza musicale per eccellenza, ossia l’anniversario del Festival di Woodstock, quei tre giorni di pace, amore e musica che si tennero a Bethel, nella leggendaria fattoria di Max Yasgur, a partire dal 15 agosto del 1969. Sappiamo tutto e il contrario di tutto di quell’evento che spaccò a metà la storia della musica e del costume del Novecento. Sappiamo quello che accadde sul palco: da Jimi Hendrix che fece cantare agli hippie – a modo suo, eh – l’inno nazionale americano a Crosby, Stills & Nash che partirono timidi e arrivarono incendiari, dai «gregari» Richie Havens e Joe Cocker che a sorpresa si scoprirono protagonisti ai gruppi della Bay Area Grateful Dead e Jefferson Airplane, fino ad arrivare agli Who, portabandiera della British Invasion e del concetto di concept album (era il periodo di «Tommy»). Sappiamo quello che accadde intorno al palco: una bomba atomica pacifista fatta da 400mila spettatori, ben più di quanti Michael Lang e il resto dei promoter coinvolti si aspettassero, tanti da far saltare il sistema della bigliettazione e costringere gli organizzatori a rendere l’esibizione gratuita (l’investimento, in ogni caso, rientrerà abbondantemente in termini di royalties dell’omonimo film diretto da Michael Waldleigh, del triplo e del doppio album che ne furono tratti). C’è una cosa che, tuttavia, non sappiamo e ci farebbe proprio piacere sapere: c’erano italiani tra gli spettatori di Woodstock? Qualche ragazzo che magari era in vacanza premio dallo zio paisà e ne approfittò per fare due salti nella georgica provincia newyorchese. Qualche giovane di buona famiglia che, già alla fine degli anni Sessanta, riusciva a permettersi il lusso di studiare negli States e di musica ne capiva abbastanza. Qualche turista che seppe inventarsi all’ultimo minuto un memorabile diversivo al suo tour della East Coast. Chissà. Così, a sensazione, saremmo portanti a rispondere negativamente: le distanze geografiche, all’epoca, erano maggiori (muoversi costava parecchio), la burocrazia più pressante, l’Italia remota periferia dell’impero, un posto in cui la versione domestica di Woodstock – il Roma Pop Festival del 1968 che aveva in cartellone Pink Floyd, Traffic, Byrds e Soft Machine – fece flop. Ma 400mila persone sono tante (nella foto il colpo d’occhio durante l’esibizione di John Sebastian) e, allora, chissà… magari lì in mezzo c’eravate anche voi che adesso state leggendo questo blog o magari c’era qualcuno che conoscevate. Nel caso, siamo qui a raccogliere la vostra testimonianza. Nel caso, «Money, it’s a gas!» premierà il vostro racconto con una fetta d’anguria. Anguria «immaginaria», in perfetto stile Woodstock. Un po’ come quella che Alvin Lee, band leader dei Ten Years After, chissà perché nella notte del 17 agosto si portò sul palco (fa fede il video qui sotto).