Spotify, ecco come da gennaio saranno pagati gli artisti

Avviso agli artisti presenti su Spotify che ancora non lo sapessero: da gennaio cambia la policy sulle royalties. È ufficiale dallo scorso 21 novembre: la piattaforma di streaming leader del mercato, impegnata in un ambizioso piano di riorganizzazione globale subito salutato dagli investitori, sposa il modello «artist centric» per evitare dispersione di risorse e combattere la piaga degli stream artificiali che «dopano» le classifiche. Ma non solo.

«Stiamo introducendo nuove politiche per sostenere meglio coloro che dipendono maggiormente dai ricavi dello streaming come parte del loro sostentamento», scrive Spotify che in quanto a pagamenti agli artisti dichiara di aver superato quota 40 miliardi di dollari eppure, spiegano, «vogliamo assicurarci che i soldi vadano alle persone per cui la nostra piattaforma è stata progettata: artisti emergenti e professionisti».

La mole di materiale disponibile su Spotify è ormai immensa e il fenomeno ha portato con sé tre necessità: scoraggiare ulteriormente lo streaming artificiale, distribuire meglio i piccoli pagamenti e limitare l’utilizzo scorretto del «rumore». Tre mosse che, qualora andassero in porto, secondo la piattaforma fondata da Daniel Ek, potrebbero portare circa un miliardo di dollari in più di ricavi agli artisti emergenti e professionisti.

Addebiti a chi fa streaming artificiale
Spotify investe molto per individuare, prevenire ed eliminare l’impatto sulle royalties dello streaming artificiale. Tuttavia, i malintenzionati continuano a lavorare nell’ombra. Come nuovo deterrente, a partire dall’inizio del prossimo anno la piattaforma addebiterà alle etichette e ai distributori un costo per traccia quando viene rilevato un palese streaming artificiale dei propri contenuti.

Questo nuovo deterrente fa seguito al miglioramento della tecnologia di rilevamento dello streaming artificiale che Spotify ha introdotto all’inizio di quest’anno e alla costituzione della Music Fights Fraud Alliance. «Questi addebiti – sottolinea Spotify – sosterranno i nostri continui sforzi per mantenere il settore e la piattaforma liberi da attività artificiali».

La soglia dei mille stream
Oggi Spotify ospita oltre 100 milioni di brani. Decine di milioni di questi sono stati ascoltati in streaming da una a mille volte nell’ultimo anno e, in media, questi brani hanno generato 0,03 dollari al mese. Poiché le etichette e i distributori richiedono un importo minimo per il prelievo (di solito 2-50 dollari per prelievo) e le banche addebitano una commissione per la transazione (di solito 1-20 dollari per prelievo), questo denaro spesso non arriva agli uploader. «In totale», spiega la piattaforma, «questi piccoli pagamenti non presi in considerazione hanno aggiunto 40 milioni di dollari all’anno che potrebbero invece aumentare i pagamenti agli artisti che dipendono maggiormente dai proventi dello streaming.

Da qui l’introduzione del principio di ammissibilità alla monetizzazione dei brani. A partire dall’inizio del 2024, per monetizzare dovrai aver almeno mille stream nei 12 mesi precedenti. «Spotify non guadagnerà denaro aggiuntivo con questo modello», spiega la nota della società quotata a Wall Street. «Non vi è alcun cambiamento nell’entità del pool di royalty musicali che Spotify versa ai titolari dei diritti; semplicemente utilizzeremo le decine di milioni di dollari annui per aumentare i pagamenti a tutti i brani idonei, anziché ripartirli in pagamenti da 0,03 dollari».

Il senso è far crescere i pagamenti a coloro che dipendono maggiormente dai proventi dello streaming evitando dispersioni. «Riteniamo inoltre che questa politica eliminerà una strategia utilizzata per tentare di aggirare il sistema o nascondere lo streaming artificiale, in quanto gli uploader non saranno più in grado di generare centesimi da un volume estremamente elevato di brani», spiegano da Spotify.

Limiti a chi utilizza «rumore»
Nell’era dello streaming, i cosiddetti generi «funzionali» sono molto diffusi: dal rumore bianco ai suoni delle balene. Gli ascoltatori spesso riproducono in streaming questi generi funzionali per ore e ore in sottofondo e tutto ciò viene talvolta sfruttato da player scorretti che accorciano artificialmente i loro brani – senza alcun merito artistico – per massimizzare i flussi di royalty.

Mentre una canzone tipica dura pochi minuti, c’è chi impila consecutivamente versi di balene da 30 secondi riempiendo playlist senza che gli ascoltatori se ne accorgano. Con il solito scopo di massimizzare i pagamenti. A partire dal prossimo anno, aumenteremo la durata minima delle registrazioni di rumore funzionale a due minuti, per poter generare royalties.

I generi funzionali includeranno il rumore bianco, i suoni della natura, i rumori delle macchine, gli effetti sonori, l’Asmr no talking e le registrazioni del silenzio. «Queste politiche», sottolinea Spotify, «ridimensioneranno le opportunità di guadagno per i caricatori di rumore. Attualmente, l’opportunità è così ampia che gli uploader inondano i servizi di streaming con registrazioni di rumore indifferenziato, sperando di attirare un traffico di ricerca sufficiente a generare royalties».