Musica e intelligenza artificiale, la versione di Piotta (scritta da Piotta in carne e ossa)

Tutti parlano di intelligenza artificiale e musica. Sarà merito dei Beatles, sarà colpa di Fake Drake e Fake The Weeknd, sarà per via delle parole di stakeholder di settore vari ed eventuali, di un quadro legislativo che su questi temi è ancora al carissimo amico. È senza dubbio il tema del momento, quando parliamo di music business, e proprio in questo particolare momento Tommaso Zanello meglio noto come Piotta, artista oltre che grande conoscitore del settore, si cimenta col progetto «Bau Bau», applicando lintelligenza artificiale alla propria musica. A noi di «Money, it’s a gas» regala poi questo interessantissimo contributo che vi invitiamo a leggere.

Oggi il mondo risulta essere sempre più difficile da capire, e il futuro non è più quello di una volta, per citare l‘incipit di questa mia instant song, uscita estemporaneamnete solo su canali digitali e social: «Bau Bau». Si dice che l’A.I. sia uno strumento formidabile, ma il suo utilizzo porta anche rischi e domande esistenziali. D‘altronde le distopie hanno il loro fascino, da sempre, sin dall’anno Mille, con l’umanità in attesa del Giudizio Universale.

E quale sarà il giudizio dei posteri su di noi? Quale quello dei futuri musicisti, dei futuri autori e dei futuri ascoltatori? Saranno contenti di poter ascoltare il flow di 2 Pac rappare artificialmente tutti i testi di Sfera Ebbasta, o il redivivo John Lennon realizzare un intero album con i suoi compari di Liverpool (dopo il White Album magari arriverà l’A.I. album), o vivere il sogno di tutti noi di far duettare Elvis Presley e Litttle Tony sulle note di Love Boat, o infine – sempre per citare Bau Bau – la psichedelia di vedere Amedeo e Pio in trio con Dario Fo.

Che poi a quel punto chi sarebbe il titolare dei diritti di queste esecuzioni? I parenti del compianto artista o l’A.I.? Un futuro invadente fossi stato un pò più giovane, l’avrei distrutto con la fantasia, ma invece è il futuro con l’A.I. che rischia di stracciare noi, e forse già lo sapeva il matematico John McCarty, quando nel lontano 1956 ne coniò il termine. Sì, l’A.I. è un qualcosa che attira e repelle allo stesso tempo, che si sta insinuando nel quotidiano e che la psicanalisi freudiana lega all’inconscio. Da secoli sono queste distopie a essere al centro dei racconti degli scrittori, poi la possibilità di rappresentarle attraverso le immagini ha dato loro rinnovato interesse tra film e serie, dal lontanissimo «Metropolis» di Fritz Lang passando per l’intelligenza di Hal 9000, il computer di bordo di «Odissea nello Spazio», fino a «Black Mirror», e così via.

Finalmente anche noi della musica, come dimostrato anche da «Bau Bau» (dal brano al video, dalle foto alla copertina, non c’è elemento che non sia stato provocatoriamnete sviluppato in tutto o in parte con l’A.I. Sapreste distinguere gli uni dagli altri? Io no!), possiamo dare il nostro contributo, nefasto o favorevole che sia. Alla fine, l’Intelligenza Artificiale finirà per sostituirci?

Il fisico premio Nobel Giorgio Parisi dice che «porterà al disastro se non verrà regolamentata», e anche l’eccentrico Elon Musk non sembra fomentato, Wozniak di Apple ancora meno. Tra i più allarmisti il più illustre è certamente Geoffrey Hinton, anche noto come il «padrino» delle reti neurali, che ha annunciato persino le sue dimissioni da Google e ha definito i chatbot di intelligenza artificiale «spaventosi». Eppure Asimov ci aveva assicurato con le leggi della robotica, poi Philip K. Dick di nuovo redarguito, per non parlare di Aldous Huxley.

Sì Il Mondo Nuovo mi ha sempre messo i brividi, lì dove solo il New Mexico ha il sapore della libertà delle vecchie città così poco smart. È invece lo scrittore e imprenditore Larson che se la ride di gusto: «L’A.I. è un nuovo potente strumento ma non ha una sua autocoscienza, non prende decisioni autonome, fa quello che per cui è progettata. La capacità di formulare congetture sulla base di pochi indizi, ovvero il nostro ragionamento induttivo, resta un mistero di cui l’A.I. non ha idea».

Sì ok Larson, ma quando ce l’avrà che succederà? I diritti di cui sopra a chi li riconosceremo? All’uomo dietro la macchina, al defunto musicista o a qualche colosso transumanista di A.I.? Servono regole, in modo che le macchine restino sempre e solo al servizio dell’uomo. Serve più che mai la politica.

La politica? Ah già, chi era costei? Dopo cinque mesi la protesta degli addetti ai lavori statunitensi, si è conclusa: l’A.I. non viene proibita ma fortemente regolamentata. Viene stabilito che l’intelligenza artificiale non può essere adoperata per scrivere o riscrivere materiale letterario nè minacciare i diritti d’autore. Idem per doppiatori, esecutori, e così via. Non lo so, forse non ci sarò già più, ma se le cose dovessero andare diversamente, e fossi ancora lucido e in forze, vorrei essere il John Connor della musica, lì alla «Fiera della carne» a distruggere robot Mecha come nel film di Spielberg. «A.I», appunto.
Tommaso Zanello aka Piotta