Streaming, collecting ed equo compenso degli artisti: perché la musica è diversa da cinema e Tv

Continua il dibattito intorno alla risoluzione della Commissione cultura del Senato sull’equo compenso degli artisti da parte delle piattaforme di streaming. Oggi ospitiamo l’intervento del ceo di Fimi Enzo Mazza che mette in luce affinità e divergenze tra il comparto discografico e il resto del mondo audiovisivo.

Nei giorni scorsi è stata pubblicata la risoluzione «sui compensi corrisposti agli artisti delle piattaforme in streaming» ovvero i compensi oggetto dell’esame parlamentare che hanno riguardato i cosiddetti «diritti connessi» al diritto di autore, intesi come diritti spettanti a soggetti che, pur non coincidendo con l’autore di un’opera dell’ingegno, si pongono in relazione con la medesima opera quali artisti, interpreti, esecutori (Aie).

Nel corso delle audizioni è emersa l’attuale differenza in atto tra quanto avviene nel settore cinematografico e quanto accade nel settore musicale.

In quest’ultimo segmento, oggetto di una vera e propria trasformazione digitale che ha portato il mercato italiano della musica online a rappresentare l’83% dei ricavi le relazioni tra i vari protagonisti delle filiera sono emerse molto chiaramente.

Anzitutto nel settore musicale lo streaming è fondamentalmente identificato come un diritto esclusivo on-demand la cui gestione è tradizionalmente mantenuta dal produttore discografico, essendo assimilata alla vendita. L’evoluzione del settore musicale ha visto il repentino passaggio dal commercio dei Cd al download, fino allo streaming.

Le case discografiche hanno pertanto ottenuto l’esclusiva da parte dell’artista in relazioni alle registrazioni fonografiche che vengono successivamente concesse in licenza alle piattaforme.

A differenza del settore audiovisivo e cinematografico i diritti degli artisti musicali nel segmento dello streaming non sono pertanto gestiti collettivamente.

Un altro aspetto di forte differenziazione emerso in sede di consultazione al Senato ha riguardato la trasparenza delle informazioni e dei dati relativi alle remunerazioni.

Tutte le principali case discografiche dispongono di portarli o applicazioni per smartphone in grado di fornire in tempo reale il numero di stream (se realizzati free o premium), su quali piattaforme e le relative rendicontazioni. Le stesse piattaforme, come ad esempio Spotify, dispongono di portali per gli artisti dove questi ultimi o i loro manager posso disporre di una serie approfondita di informazioni di dettaglio.

Molte delle previsioni in relazione ai meccanismi di trasparenza e adeguamento contrattuale, oggetto anche della consultazione Agcom in corso citata nella risoluzione al Senato, sono già la regola nel settore musicale.

Lo streaming ha rivoluzionato il mondo della musica. Da un lato, come emerso dai dati Fimi/GfK presentati al Senato, le barriere di accesso al mercato sono scomparse, consentendo ad un numero sempre maggiore di artisti di ottenere visibilità e riscontri dai fan. Teniamo conto che oggi, in media, oltre 100mila brani musicali sono caricati ogni giorno sulle piattaforme.

La concentrazione nelle vendite è diminuita e se prima di internet la top ten italiana rappresentava il 10% di tutte le vendite, nel 2022 la top ten ha rappresentato solo l’1,5% di tutto il venduto dell’anno passato.

Un altro dato significativo presentato in audizione al Senato ha riguardato la crescita della remunerazione degli artisti musicali nell’era dello streaming, salita del 93% tra il 2016 e il 2021 contro il 63% della crescita dei ricavi delle case discografiche.
Enzo Mazza