Cantare sì, ma per il terremoto. Se Notte della Taranta e Sponz Fest diventano Live Aid

«Dopo Auschwitz è possibile la poesia?», si chiedeva un irrequieto Theodor Adorno. Domanda decisiva: il male a volte influenza l’arte, ma molto più spesso scandalizza la possibilità stessa dell’arte, rendendo l’espressione umana – quando è gioiosa ed ebbra – perfino inopportuna. Si può fare musica dopo il terremoto che nella notte tra martedì e mercoledì ha colpito il centro Italia, spazzando via Amatrice e Accumoli? Se lo sono chiesti in molti in queste ore, perché il 27 agosto non è un giorno qualsiasi per la musica italiana. A Melpignano c’è il tradizionale «concertone» finale della Notte della Taranta, festa che porta in Salento qualcosa come 200mila appassionati di musica popolare. A Calitri c’è Vinicio Capossela con il concerto culmine del suo Sponz Fest che ha per ospite d’onore Gianni Morandi. Si è a lungo dibattuto sull’opportunità del primo evento e sullo spirito giusto da dare al secondo. Alla fine, le conclusioni sono state analoghe: si fa musica, ma per le vittime del terremoto. Il prefetto di Lecce, in accordo con la regione Puglia, ha dato il placet alla Notte della Taranta (nella foto Ansa di Vincenzo Chiumarulo le prove tenutesi ieri sera) che si trasformerà in una maratona di solidarietà con il progetto «Puglia per la ricostruzione» al quale tutti gli artisti coinvolti – dalla maestra concertatrice Carmen Consoli a Fiorella Mannoia e alla corista dei Rolling Stones Lisa Fischer – devolveranno il proprio cachet. L’obiettivo è avviare una raccolta fondi destinata alla ricostruzione di una infrastruttura pubblica nelle zone colpite. Un progetto cui verranno devoluti pure i proventi della vendita del cd tratto dal live act. Analogamente la direzione dello Sponz Fest – kermesse espressione di una terra, quella d’Irpinia, che ben conosce il peso di certe tragedie – ha deciso di donare parte del ricavato del concerto e del merchandising a un progetto di ricostruzione economico culturale delle zone colpite dal sisma. E se alla fine si è deciso di annullare l’evento «Il Jazz Italiano per l’Aquila» che Paolo Fresu stava organizzato dal 2 al 4 settembre nella città abruzzese sconvolta dal sisma del 2009, è in questi giorni tornato in prima linea il membro fondatore dei Nomadi Beppe Carletti, già organizzatore del concerto del 2012 per la ricostruzione in Emilia: in occasione del Meeting delle Etichette indipendenti, in programma a Faenza dal 23 al 25 settembre, prepara un live aid dell’indie itaiano a sostegno delle comunità colpite. Agli spettatori più smaliziati non sfuggirà certo che il concerto benefico è un vero e proprio «genere». In principio fu The Concert for Bangladesh, organizzato al Madison Square Garden nell’agosto ‘71 dall’ex Beatle George Harrison a sostegno della popolazione della regione del subcontinente himalayano prima colpita dal ciclone Bhola poi travolta dalla guerra civile. Parterre di livello assoluto: da Bob Dylan a Eric Clapton, passando per l’altro ex Fab Four Ringo Starr. Se ne ricaveranno un incasso di 250mila dollari, la pubblicazione di un triplo album e un film. Tutto destinato all’Unicef. L’idea più innovativa la ebbe però nell’85 il folk-singer irlandese Bob Geldof che, a sostegno dell’Africa piagata dalla fame, organizzò un live in contemporanea sulle piazze di Londra, Philadelphia, Sydney, Colonia e Mosca coinvolgendo tra gli altri artisti del calibro di Queen, U2, Neil Young, Dylan e Mick Jagger. Fu un successo planetario, bissato venti anni dopo dal Live 8, il cui intento era sensibilizzare gli otto grandi della terra a cancellare il debito dei Paesi poveri. Tra i momenti indimenticabili dell’esibizione (che coinvolse pure la piazza di Roma) anche l’ultima reunion dei Pink Floyd in formazione completa. La storia dei benefit live abbraccia insomma oltre quarant’anni e spazia dai tre (!) concerti per le vittime delle Twin Towers al Live Earth voluto da Al Gore a sostegno della sua causa ambientalista. Nessuno discute la nobiltà degli intenti ma, sin dalla loro invenzione, chi pensa male propone il solito interrogativo: guadagnano di più in beneficienza le vittime della catastrofe di turno o in pubblicità gli artisti che sposano la causa? Per stasera facciamo così, in ogni caso: i cattivi pensieri lasciamoli lontani da Calitri e Melpignano.