Qui a «Money, it’s a gas!» ce lo ricordiamo bene il Francesco De Gregori poeta ermetico, l’artista schivo che con la stampa non parlava mai e, giù dal palco, ai fan si concedeva meno che mai. Sarebbe stato strano il contrario: rifaceva fuori dalla scena Bob Dylan, proprio come in un certo senso lo faceva in scena. Perché uno che ti traduce magnificamente «Desolation Row» e «If you see her, say hello», uno che dal vivo cambia per vezzo la melodia alle proprie canzoni proprio sulla falsariga del Menestrello di Duluth, uno che colleziona cappelli di paglia e barbe incolte poi ha tutto il diritto di sottrarsi, dire al mondo «sono l’artista», ergo comunico con la mia arte, parlo con le canzoni e, quando non canto, «’l tacere è bello». Faceva così il Sommo Poeta, fa così «Sua Bobbità», volete che, in Italia, non sia permesso al Principe del Folkstudio? Qualcuno si ricorda addirittura di una coppia di freschi sposini salernitani suoi grandi fan che, mollati gli invitati all’uscita della chiesa, si precipitarono nella cava dismessa di Castel San Giorgio dove De Gregori (nella foto Ansa) stava per esibirsi. Avevano un sogno: farsi immortalare con il loro idolo nel giorno più importante della loro vita. Sogno che andò a infrangersi contro il no degli addetti alla sicurezza del concerto. Ci siamo sempre chiesti se l’artista fosse stato informato dal suo staff di quella curiosa richiesta. In ogni caso giusto così. Erano i primi anni Duemila, la parola selfie non significava nulla e, forse per questo, sembrano passati secoli: «Incontrare persone non è una mia necessità ma mi dà meno fastidio di una volta. È un buon segno, meglio tardi che mai», dice oggi il cantautore al Sole 24 Ore. E in effetti ha fatto due conferenze stampa a Milano in due mesi, la prima per annunciare il progetto «Anema e core» condiviso con l’artista Mimmo Paladino, la seconda per presentare suoi nuovi progetti live: una serie di concerti romani che ricordano un po’ il concept di Springsteen on Broadway e un tour sinfonico che partirà dalle Terme di Caracalla e si chiuderà all’Arena di Verona. Già da qualche anno non si sottrae ai fan, addirittura fa i firmacopie in libreria. «Bulimia musicale», la chiama lui. A noi sembra uno degli innumerevoli effetti dell’economia della musica ai tempi dello streaming. Mamma quanto si espone. Dovremmo dire sovraespone. Dylan, inarrivabile modello di riferimento, nel frattempo non ha cambiato regole d’ingaggio. Anzi. Probabile che ogni tanto fissi il Nobel, probabilmente esposto in libreria accanto al Pulitzer, e canti: «Tomorrow’s the day my bride’s gonna come». Dopo tutto sempre di spose si parla.
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