Questo è un piccolo pezzo di storia di Genova, terra di grandi cantautori e altrettanto grandi comici. La storia di un’amicizia tra un adolescente e un bambino della colta borghesia cittadina, ambientata nell’immediato dopoguerra: il bambino diventerà il maggiore cantautore del Novecento italiano – probabilmente l’unico per il quale l’epiteto di poeta non suona stonato -, l’adolescente un’icona della comicità tricolore destinata a durare. Un’amicizia che, di lì a qualche anno, si trasformerà nel sodalizio bohémien tra due aspiranti artisti, due giovani «fannulloni» che si dividono libri, bevute e ragazze con la Città Vecchia a fare da sfondo. Il cantautore è Fabrizio De André, andatosene troppo presto nel ’99 a ’59 anni, il comico Paolo Villaggio ci ha lasciato oggi a 84 anni. Il legame che li ha a lungo uniti viene magnificamente raccontato dalle voci dei diretti protagonisti in «Non per un dio ma nemmeno per gioco», la biografia di «Faber» a firma di Luigi Viva, uscita per la prima volta nel 2000 e ancora oggi in cima ai titoli cult di Feltrinelli per gli appassionati di musica. Il primo incontro risale addirittura al 1948. «L’ho incontrato per la prima volta a Pocol, sopra Cortina – racconta De Andrè a Viva -; io ero un ragazzino incazzato che parlava sporco; gli piacevo perché ero tormentato, inquieto ed egli lo era altrettanto, solo che era più controllato, forse perché era più grande di me e allora subito si investì della parte del fratello maggiore e mi diceva: “Guarda, tu le parolacce non le devi dire, tu dici le parolacce per essere al centro dell’attenzione, sei uno stronzo”». Da giovani, secondo Villaggio, i due facevano «una vita dissennata, andavamo a caccia di amici terribili […], i nostri genitori erano terrificati da questo tipo di vita, non si faceva niente e si dormiva regolarmente sino alle due del pomeriggio». Il legame a un certo punto diventa artisitco, con Villaggio che scrive i testi dell’autobiografica «Il fannullone» e soprattutto di «Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers» che ritrae il sovrano merovingio che, di ritorno dal fronte, si concede un’avventura con una pulzella dall’accento curiosamente emiliano, prima di accorgersi di avere a che fare con una prostituta. I due brani diventeranno le due facciate del terzo singolo di Faber, uscito nel ’63 per Karim. Nessuno o quasi notò quella pubblicazione. La fama di De André e quella di Villaggio, d’altra parte, erano ancora di là da venire. Ciò non bastò a evitare che un anonimo pretore querelasse i due autori per il più celebre verso della ballata di Carlo Martello: «È mai possibile, o porco di un cane, che le avventure in codesto reame debban risolversi tutte con grandi puttane». Nessuno si scandalizzi: siamo in Italia. E la grandezza di De André e Villaggio stava anche nel fatto che nel panorama asfittico di un Paese bacchettone e conformista rappresentavassero un meraviglioso parodosso.
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