Settimo appuntamento con Casella dei dischi, la rubrica di recensioni tutt’altro che mainstream a cura di Michele Casella. Questa settimana il focus cade sulle ultime uscite di St. Vincent, Justice e Fat White Family.
St. Vincent – All Born Screaming (Total Pleasure Records)
Figura guida di una felice sofisticazione pop, St. Vincent (nella foto) arriva al suo ottavo album con la necessità di trovare una nuova via alla sua musica. Dopo l’incursione Seventies dell’ottimo “Daddy’s Home” (2021), Annie Clark riparte da sé e autoproduce per la prima volta questo “All Born Screaming”, un disco di ombre e folgori, come sempre sorretto dalla sua voce melliflua e seducente. Dopo l’apertura più umbratile e sospesa di “Hell Is Near” e “Reckless”, St. Vincent torna al suo indie-rock dissonante, fatto di chitarre aspre ed elettronica, di cui il brano “Flea” è esempio quasi scolastico. Al netto delle dichiarazioni un po’ pleonastiche di Annie Clark – che spiega che il sui disco «suona reale perché è reale» – “All Born Screaming” è un buon album di rock elettrico contemporaneo, al quale partecipano fra gli altri l’amica tastierista Rachel Eckroth, i membri dei Foo Fighters Dave Grohl e Josh Freese e la cantautrice Cate Le Bon. Queste dieci tracce rappresentano un passo in avanti e uno indietro, perché si torna a quei suoni e quelle strutture che hanno fatto la fortuna di St. Vincent ma senza aggiungere molto a un percorso già così significativo. Ad ogni modo l’energia c’è, si sente e si vede, come nel video/singolo di “Broken Man”.
Justice – Hyperdrama (Virgin)
Dopo aver fatto ballare l’intero continente con la loro personalissima formula di elektro-pop dai beat violenti e distorti, i Justice tornano a distanza di otto anni per pubblicare l’atteso seguito dal titolo “Hyperdrama”. Il nuovo album, che era stato presentato quasi interamente in anteprima sul palco del festival californiano Coachella, riparte dai suoni sintetici e “allarmati” a cui siamo ormai abituati ma espande il raggio d’azione spaziando fra futurismo e nostalgia, incorporando sonorità avveniristiche e risonanze singolarmente retrò. “Hyperdrama” è anche il disco delle collaborazioni, che prendono decisamente piede in più di un’occasione, a cominciare dalla (fin troppo invasiva) partecipazione dei Tame Impala (davvero stucchevoli, ma ai più piacciono). Impossibile non pensare in molti episodi a una vicinanza coi Daft Punk (“One Night/All Night” su tutti) e in generale al movimento French touch, ma l’album gira bene soprattutto nelle aperture più briose (“Dear Alan”, “Afterimage” con la giovane olandese Rimon e “Mannequin Love” con gli inglesi Flints) e nei momenti (ormai pochi) dove l’energia si fa più spinta. Passando dalla stramba incursione fusion anni Ottanta di “Moonlight Rendez-Vous” al funk à la Prince di “Saturnine” (featuring lo statunitense Miguel), l’album si chiude felicemente con la collaborazione di Thundercat nel fremente synth-pop di “The End”. “Hyperdrama” è già l’album dance ufficiale dei festival estivi.
Fat White Family – Forgiveness Is Yours (Domino)
L’essenza più folle e psichedelica del nuovo album dei Fat White Family sta tutta in “Polygamy Is Only For The Chief”, un brano che parte da obliquità tipicamente indie per sbridellarsi strada facendo, con tanto di esplosione di urla isteriche su un pianoforte che suona delirante. “Forgiveness Is Yours” è il disco della totale libertà per la band londinese, ma anche (stando alle loro parole) «un testamento alla volontà di creare anche quando le catastrofi continuano ad accadere». Sarà furore adrenalinico misto a eccitazione psicotropa, magari disincanto filtrato dal fuoco del rock, ma questo album è una corsa febbricitante attraverso la trasgressione del suono. Si ascolti ad esempio “Visions Of Pain”, che parte come una versione deviata della mitica “Águas De Março” di Antonio Carlos Jobim, o il racconto allucinato di “Today You Become Man” o ancora il ritmo pulsante di “Work”. Dopo questo disco resta solo l’implosione più deflagrante.
Michele Casella