Il sottosegretario alla Cultura Mazzi: «Protocollo d’intesa sui testi violenti di rap e trap»

Il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi torna sul tema dei testi violenti nei brani rap e trap in un’intervista a Rtl 102.5, dove lancia l’idea di un protocollo d’intesa a riguardo con case discografiche e Siae. «Il governo», ha detto Mazzi, «è stato profondamente colpito dall’appello lanciato da importanti personalità del mondo dello spettacolo, tutte donne, tra cui Cristiana Capotondi, Anna Foglietta e Paola Cortellesi, che hanno denunciato alcuni testi estremamente violenti contenenti contenuti misogini. Abbiamo accolto questo appello perché non possiamo ignorare il problema: alcuni testi sono veramente sconcertanti. Non intendiamo adottare un atteggiamento censorio, ma ci poniamo delle domande legittime. Ad esempio, ci chiediamo come mai questi testi vengano editati e pubblicati da importanti case discografiche, che spesso sono multinazionali e all’interno delle quali vige una cultura del rispetto delle donne e dell’uguaglianza sul lavoro. Come possono queste case discografiche trasgredire il loro stesso codice etico pubblicando testi così violenti?», ha aggiunto Gianmarco Mazzi.

«Inoltre, abbiamo discusso della questione con i dirigenti di Spotify. Ci chiediamo come mai Spotify, rispetto a molti social media che impediscono l’inserimento e la pubblicazione di contenuti violenti, permetta la diffusione di questi testi. Non è che il fatto di far parte di un genere musicale renda meno violento il contenuto del testo. Ci hanno assicurato che sono disponibili ad un confronto. Abbiamo organizzato un incontro per maggio dal titolo “Quando la musica diventa violenta”, nel quale non intendiamo imporre nulla, ma semplicemente dialogare. La nostra attività è pragmatica, ma quando le donne sollevano un problema, dobbiamo ascoltarle. Il nostro obiettivo principale è aprire un dialogo costruttivo. Abbiamo già ricevuto alcune risposte dagli artisti, che ha sostenuto che questi testi sono iperbolici, una sorta di fiction, una forma d’arte», continua il sottosegretario alla Cultura (nella foto Ansa).

«Mi hanno fatto un paragone, dicono sia un po’ analogo a quello che fa nel cinema Tarantino. Io penso che questo sia vero fino ad un certo punto, perché vediamo che poi gli artisti, che spesso fanno parte del mondo del rap e della trap, hanno poi delle vite improntate alla violenza che propugnano. Poi sono testi che parlano alle fasce più giovani della popolazione; secondo me non è fiction, ma in questi incontri sarò un ascoltatore, vogliamo dialogare. Poi non so se arriveremo ad un protocollo dove ogni operatore del settore si prenda un impegno affinché questo fenomeno venga in qualche modo arginato. Potremmo arrivare a proporre un protocollo, ma vorrei farlo coinvolgendo il mondo della musica, le case discografiche, gli editori e la Siae. Noi capiamo il disagio, ho ricevuto una telefonata da un sacerdote che mi ha spiegato che per alcuni di questi artisti la musica è un riscatto. Questo lo capisco, ma non a discapito di tanti giovanissimi, parliamo di ascoltatori che hanno 10 o 11 anni, sono quasi dei bambini, neanche adolescenti. Io sono figlio degli anni Sessanta, la musica è la prima fonte di formazione culturale; sono stato fortunato ad aver incontrato la musica dei cantautori, e rispondo ai ragazzi del rap e della trap che, se questi artisti fossero fermati a fotografare la realtà degli anni Settanta, che musica avrebbero lasciato? Invece, con i loro testi, hanno dato speranza», ha dichiarato ancora Gianmarco Mazzi che si è quindi soffermato sull’ultima edizione del Festival di Sanremo.

«Io sono un grande estimatore di Amadeus e credo che quest’anno abbia fatto un lavoro eccezionale. Ho letto dei testi che quest’anno avevano anche un significato sociale importante. Vorrei che tutto ciò non fosse considerato pesante o censorio, ma una regolamentazione che il sistema si dia. Credo nella musica e alla rilevanza sociale di questo mondo, e chiedo solo di prendere coscienza di questo e di non trattare le cose solo da un punto di vista commerciale», ha concluso il sottosegretario.

Arriva la replica di Fimi, associazione confindustriale delle major discografiche. «La censura della libertà espressiva», recita la nota, «non appartiene all’industria discografica: esistono già regole precise. Siamo da sempre attenta al rispetto della libertà espressiva degli artisti, peraltro garantita dalla Convenzione europea sui diritti umani e dalla Costituzione italiana. L’industria discografica ha adottato autoregolamentazioni a livello internazionale e italiano che evidenziano sempre sui prodotti fisici e online la presenza di testi espliciti. I codici etici delle case discografiche stabiliscono, tra l’altro, proprio il rispetto della libertà di espressione degli artisti e l’autonomia creativa degli stessi».