Casella dei dischi: le recensioni a Kim Gordon, Real Estate e Yard Act

Ai tempi dello streaming le uscite musicali sono tante, troppe e non sempre è facile districarsi tra cose veramente belle, cose meno belle e cose del tutto trascurabili. Ci vorrebbe come minimo una rubrica di recensioni a fare da bussola, una guida vecchio stile a quanto di nuovo, tutte le settimane, ci offre il panorama internazionale della musica incisa. La abbiamo chiesta a Michele Casella: oggi su «Money, it’s a gas!» apre i battenti Casella dei dischi. Con Kim Gordon, Real Estate e Yard Act. Buona lettura e buon ascolto!

Kim Gordon – The Collective (Matador)
A 13 anni dallo scioglimento dei Sonic Youth, Kim Gordon resta senza dubbio l’anima più sperimentale dell’ex quartetto newyorchese. Il nuovissimo The Collective ne è la prova artistica, un album stilisticamente ibrido, perfettamente calato nei suoni sintetici dei nostri anni Venti e allo stesso tempo testardamente rock per carica e attitudine. Ispirato dalla follia del panorama mediatico contemporaneo, strutturato attraverso autotune e rimbombi di TR-808, The Collective riesce ad ammansire il suono trap e a portarlo alle nuove vette dell’art-rock. Merito del lavoro di produzione realizzato assieme a Justin Raisen e, come sempre, della voce di Kim Gordon, seducente e melliflua, intensa e suadente. Sotto le liriche si dipana un tappeto ritmico dissonante e ricco di inserti noise, che spezza il flusso di coscienza delle liriche, eleva l’ascoltatore verso inebrianti vette oniriche per poi farlo precipitare nell’oscurità dei beat più ossessivi. The Collective è il disco che consacra – nuovamente – l’ex donna sonica fra le più importanti figure femminili del suono contemporaneo, fra le poche opere di questi anni che riesca a congiungere ricerca sonora, vocazione crossmediale, aggressività rock e southern hip hop.

 

Real Estate – Daniel (Domino)
Un album che merita attenzione per l’accessibilità sonora mai banale e per un approccio all’indie-pop assolutamente fresco è quello dei Real Estate (nella foto), arrivati alla sesta prova su lunga distanza in 15 anni e senza dubbio consapevoli di aver composto il miglior disco della loro carriera. Affascinati dai R.E.M. di Automatic for the People così come da quel college-pop di inizio anni 2000, questi ragazzi del New Jersey hanno ripercorso la strada cha ha reso celebri le loro prime release a band oggi di culto. Dagli Shins agli Of Montreal, dai Sodastream ai Wilco, i Real Estate hanno azzeccato sia i riff di chitarra acustica sia i ritornelli accattivanti, mostrando un’eccezionale fluidità e naturalezza che ricordano un po’ quella dei Red House Painters. Dolcemente malinconico e serenamente introspettivo, Daniel è stato registrato nel mitico RCA Studio di Nashville e rilancia una formazione sulla quale, sinceramente, non avremmo scommesso.

 

Yard Act – Where’s My Utopia? (Island)
Tornano con il secondo album gli Yard Act, la chiacchieratissima band di Leeds che due anni fa aveva catalizzato l’attenzione mediatica grazie alla brillante mescolanza di sonorità post-punk e cantato da storyteller, dove l’approccio anticapitalista si fondeva armoniosamente con lo spirito esuberante dell’indie. Col nuovo Where’s My Utopia? il quartetto sembra essersi innamorato delle istrioniche composizioni del primo Beck (quello di Mellow Gold per intenderci), che ha triturato e miscelato con melodie ad alta presa radiofonica, ritmi funk ballabili e chitarre volutamente sbilenche. Un ibrido eccentrico e non privo di fascino, che scorre attraverso ottime intuizioni e soluzioni più banali, senza però annoiare gli appassionati del suono tipicamente indie. Basti ascoltare (l’imperfetta) Grifter’s Grief – che parte misurata e poi esplode nel noise da hardcore – per capire come gli alti e bassi rappresentino le fondamenta di questo disco, discontinuo ma anche coraggioso, che invece di adagiarsi sulla formula di successo dell’esordio prova a scombinare le carte e fare un passo verso l’ignoto.
Michele Casella