«Siamo solo all’inizio ma è un buon inizio. Anzi, più che buono: direi ottimo». A parlare è Roberto De Luca, ceo di Live Nation Italia, agenzia di promoting leader di mercato in Italia che al momento si sta dividendo tra il tour di Vasco Rossi di rotta sullo Stadio Olimpico (16 e 17 giugno), Tiziano Ferro verso San Siro (15, 17 e 18 giugno) e il festival Firenze Rocks (17 e 18 giugno) che vedrà sfilare all’Ippodromo del Visarno gente come Who e Maroon 5.
«Pure io sono tra quelli che sostengono che i conti si fanno alla fine», sottolinea De Luca, «però, se dobbiamo guardare al risultato parziale, tocca dire che abbiamo venduto 2,8 milioni di biglietti. La gran parte degli eventi di richiamo della nostra estate è andata sold out, a testimonianza della straordinaria voglia di musica dal vivo che si registra da parte del pubblico. Già il 2022, anno della ripresa, era stato parecchio indicativo. Ma in quel caso c’erano diversi recuperi di concerti che si sarebbero dovuti tenere nel biennio del Covid. L’estate del 2023 certifica una domanda di show senza precedenti».
La domanda si sa che va proverbialmente incontro all’offerta «e la nostra offerta da maggio a settembre, quest’anno, è parecchio articolata. Se parliamo di italiani, oltre a Vasco che da sempre fa storia a sé, è d’obbligo citare gli stadi di Tiziano Ferro e Marco Mengoni. Abbiamo gli internazionali, a partire dai Coldplay con il loro attesissimo tour che fa rotta su Napoli per due date e Milano per altre tre. Abbiamo The Weekend all’Ippodromo di San Siro, il ritorno dei Depeche Mode che per gli show di Roma, Milano e Bologna sono stati capaci di vendere 150mila biglietti, ma pure Guns n’ Roses. E ci sono i festival: pensiamo solo al Firenze Rocks e agli I-Days che vedranno impegnati, all’Ippodromo di San Siro, da Florence + The Machine ai Black Keys, passando per Travis Scott».
Si lavora molto, in casa Live Nation, nella seconda estate post ripresa degli spettacoli dal vivo, faccia a faccia con nodi da sciogliere con cui il settore ha ormai imparato a confrontarsi. «Rispetto al 2019», sottolinea De Luca, «i costi di produzione sono cresciuti del 30, 35, in alcuni casi persino del 50 per cento. Colpa delle materie prime e dell’energia, innanzitutto».
Poi c’è il tema della manodopera qualificata che, dopo il lockdown, è diventata sempre più difficile da intercettare: «Basti pensare che ho dovuto mettere in piedi un ufficio di tre persone che ha il compito di reclutare addetti da paesi come Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia in numero abbondante. Parliamo di profili specializzati, come quelli dei rigger. Prima del Covid ci bastavano quelli che avevamo. Dopo abbiamo assistito alla dispersione di numerose competenze perché molti di quei ragazzi, nel frattempo, sono passati a fare altro. E perché il numero di show, lato nostro, per fortuna si è moltiplicato».
De Luca ribadisce che la musica dal vivo, proprio grazie a questa esplosione di domanda, «è sempre più un formidabile moltiplicatore dell’economia dei territori. Tuttavia, nonostante ciò, continuiamo a essere bistrattati dal decisore pubblico. Anneghiamo nella burocrazia. Per dire: di questi periodi metto 50 firme al giorno. Servirebbero un alleggerimento del carico burocratico e sgravi fiscali seri per il settore. Non per altro», conclude il promoter: «siamo l’unica musica dal vivo che non costa niente allo Stato. E che, anzi, produce sviluppo e genera posti di lavoro».