A dicembre scorso Bob Dylan ha venduto i diritti sul suo songbook a Universal Music Pubishing Group per una cifra che si aggirerebbe intorno ai 300 milioni di dollari. La partita sui diritti delle sue canzoni però, a quanto pare, non è finita qua: secondo Pitchfork, il Menestrello di Duluth si è beccato infatti una citazione in giudizio per 7,25 milioni di dollari dalla vedova di Jacques Levy, co-autore di canzoni dell’album «Desire» (1976) come la leggendaria «Hurricane» o «Isis».
Secondo l’esposto, lo staff di Bob Dylan deve alla famiglia di Levy il 35% di quanto l’artista ha guadagnato dalle canzoni che Levy ha scritto. Il management di Sua Bobbità avrebbe inoltre «rifiutato di rimettere (alla famiglia di Levy) la giusta quota delle entrate e/o del reddito guadagnato dalla vendita del catalogo rispetto alle composizioni».
La causa «è un triste tentativo di trarre ingiustamente profitto dalla recente vendita del catalogo», ha detto l’avvocato di Dylan, Orin Snyder, in una dichiarazione rilasciata a Pitchfork. «I ricorrenti sono stati pagati per tutto ciò che gli è dovuto. Siamo fiduciosi che prevarremo. E quando lo faremo, riterremo i ricorrenti e i loro avvocati responsabili di aver portato avanti questa causa senza merito». Anche Universal Music Publishing Group, assieme a Dylan, è oggetto del procedimento giudiziario.
La vendita del catalogo di Dylan ci dà due indicazioni. In primo luogo abbiamo la conferma di quanto il diritto d’autore sia diventato centrale nell’epoca della «musica liquida». E ancora di più con la crisi del coronavirus che ha letteralmente azzerato il giro d’affari dei concerti che era diventato il segmento trainante del music business. In secondo luogo, Universal Music Group «si fa bella» in vista dell’obiettivo quotazione in Borsa che, nonostante il coronavirus, dovrebbe essere centrato da qui ai prossimi due anni.