Baglioni, i migranti, De André, Salvini e la disputa su indie e trap: siamo un Paese meraviglioso

Sei in un Paese meraviglioso. Autostrade per l’Italia avrà pure tanti problemi ma di sicuro non quello di saper scegliere gli slogan. Tu sei, egli è, noi tutti siamo in un Paese meraviglioso. Ci abbiamo a lungo riflettuto in queste ore e alla fine l’unica considerazione che siamo riusciti a fare (amara? Ironica? Semiseria?) è proprio questa. Siamo in un Paese meraviglioso perché Claudio Baglioni, cantautore dal cursus honorum tutt’altro che improntato all’impegno civile, dice due frasi di buonsenso fin troppo equilibrate sulla tragedia dei migranti alla conferenza stampa di Sanremo e tutto d’un tratto si ritrova a ballare in mezzo al fuoco delle polemiche come fosse l’ultimo alfiere dell’impegno civile applicato alla musica. Siamo in un Paese meraviglioso perché ricorre il 20ennale della morte di Fabrizio De André, poeta più grande della seconda metà del Novecento prima di tutto il resto, e allora nessuno vuole sottrarsi al rito pagano della commemorazione social, neanche il ministro dell’Interno Matteo Salvini. In tanti sui social si sono indignati, considerando la distanza che intercorre tra la poetica del cantautore e gli orientamenti del leader della Lega. A noi va di fare un altro gioco. Infodata Blog del Sole 24 Ore ha mappato tutte le parole utilizzate da Faber nel suo canzoniere costruendone un grafico dinamico. Vi ricordate per caso in quante e in quali canzoni e soprattutto in che contesti De André utilizza il sostantivo ministro? Se riuscite a risolvere il problema, probabilmente vi farete una vaga idea di come avrebbe reagito Faber in persona al tributo dell’inquilino del Viminale. Siamo in un Paese meraviglioso perché nessuno si sottrae al rito pagano della commemorazione social di De André, ok, dai più grandi ai più piccini. Eppure questo Paese, quando si parla di musica, è sempre più spaccato a metà.

Ce ne siamo ancora una volta accorti dopo l’uscita dell’articolo «Spegnete la musica italiana» su IL Magazine del Sole 24 Ore. Il pezzo – è bene ricordarlo – rappresentava un ragionamento intorno alle uscite discografiche italiane 2018, un anno decisamente poco entusiasmante per le nostre orecchie. Ecco perché mancavano all’elenco – a sostegno della tesi «non tutto è perduto» – molti artisti degni di stima: semplicemente era gente che non aveva inciso nulla l’anno scorso. E poi il pezzo si concentrava soprattutto sugli autori più giovani, quelli che incarnano il cosiddetto spirito del tempo. Non puoi salvare, nel tuo ragionamento, la musica italiana contemporanea se chiami come testimoni illustri signori che hanno 40 anni suonati e suonano dagli anni Novanta a questa parte. Ennò, cari ragazzi: quelli non sono soldati che combattono per il vostro esercito.

Abbiamo scritto davvero soldati? Perdonateci: trattavasi di lapsus. Perché, effettivamente, le reazioni al nostro articolo di mercoledì 9 gennaio ci hanno a sorpresa restituito una specie di teatro di guerra. Non era assolutamente nostra intenzione alimentare un remake della disputa degli antichi e dei moderni. Eppure. Tanti, tantissimi, quasi tutti quelli che hanno letto il pezzo ci hanno tenuto a fare/farci sapere come la pensavano. Per mail, su Facebook, Twitter, Instagram, vocale da 10 minuti, in strada o al bar. E questo è un fatto molto positivo, a prescindere dal contenuto dei commenti. Nei commenti, dicevamo, era come se si combattesse una guerra: da un lato chi aveva più di 30 anni e aveva apprezzato l’articolo, dall’altro chi ne aveva meno e, in nove casi su dieci, non lo aveva affatto gradito. Per usare un eufemismo. Da un lato chi applaudiva al «coraggio di dire le cose come stanno», dall’altro chi parlava di un pezzo vecchio scritto per i vecchi. Molti, tra quelli cui il pezzo è piaciuto, fanno musica e ci hanno mandato materiale da loro prodotto, perché «lavoriamo per costruire un’alternativa». E siamo contenti: ascolteremo volentieri, lo spirito ci sembra proprio quello giusto. Altri sono partiti con l’intenzione di spiegare perché non erano d’accordo, colorando il discorso con linguaggio urban (chiamiamolo così) e qualche citazione dall’ultimo bestseller in vetrina, poi alla fine non hanno spiegato molto. Ma forse siamo stati noi a spiegarci male. Avremmo perso meno tempo se avessimo citato subito Josephine Tey: la verità è figlia del tempo, signore e signori. Noi tutti, grandi e piccini, celebriamo De André a 20 anni dalla scomparsa. Quanto agli odierni campioni della musica italiana, trap o indie acqua e zucchero che siano, facciamo così: riparliamone tra dieci a partire da adesso. Giusto perché vogliamo essere generosi.