Si può perdere il proprio posto di lavoro per un’affermazione pubblica magari inopportuna, ma indubbiamente scomoda e coraggiosa? In Italia, nel cuore della civilissima cultura occidentale, nel 2016? Nell’epoca in cui tutti, ma proprio tutti, sui social network possono dire tutto e il contrario di tutto? La risposta è sì e, in tutta probabilità, proprio perché sui social network tutti possono dire tutto e il contrario di tutto. È accaduto a Giacomo Loprieno, direttore d’orchestra dello spettacolo «Disney in concert: Frozen» (nella foto Ansa), sospeso dall’incarico perché alla fine della prima del 29 dicembre all’Auditorium Parco della Musica di Roma si è rivolto alla platea di bambini che a quanto pare era un po’ troppo rumorosa e ha detto: «Comunque Babbo Natale non esiste». Se non ci fossero stati Facebook e Twitter probabilmente la cosa sarebbe finita lì ma, dato il cancan di proteste che sul web montava, l’organizzatore Dimensione Eventi si è sentito in dovere di rimuoverlo già dalla prima replica, tenutasi ieri. In una nota, la società «si dissocia completamente» dall’accaduto: «Come tutti i presenti siamo rimasti sconcertati da una dichiarazione assolutamente personale del direttore, tra l’altro a spettacolo ormai terminato. Il nostro lavoro è di creare emozioni positive e far sognare i più piccoli. Quanto è stato detto dal direttore d’orchestra è totalmente fuori luogo ed è il gesto arbitrario di una singola persona». Ma siamo seri? In un Paese in cui la lotta politica (verbale) è ai minimi termini, in cui il reato di bestemmia di fatto non è più reato e chi pratica sistematicamente lo sport del vilipendio del capo dello Stato la fa franca, l’ultimo gesto sovversivo da reprimere è diventato la negazione dell’esistenza di Babbo Natale? Non condividiamo il gesto del maestro Loprieno, ma nella circostanza sentiamo il dovere di esprimergli la nostra solidarietà. Ha fatto una battuta che qualsiasi genitore in platea avrebbe potuto/dovuto contestualizzare/sdrammatizzare se proprio ci teneva a far salvo Santa Claus alle orecchie innocenti della propria prole. Una frase certo meno dirompente del «Dio è morto» che cantava Francesco Guccini o del «Non ci sono poteri buoni» del grandissimo Fabrizio De André. Un gesto punk, si sarebbe detto in altri tempi, situazionista e indigesto come il grido di Johnny Rotten che 40 anni fa «corrompeva» gli adolescenti di mezzo mondo. Che – occorre ricordarlo – poco più che bambini erano. È vero: oggi sui social network tutti possono dire tutto e il contrario di tutto, ma guai a negare in pubblico l’esistenza del personaggio creato (così come lo conosciamo) nell’Ottocento dalla matita di Thomas Nast e trasformato in un’icona globale cento anni più tardi dalla Coca Cola: è vilipendio dell’immaginario collettivo.
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