Se c’è una persona che in campo musicale ha inventato il ruolo moderno di produttore, quella persona è stata George Martin, l’unico per il quale l’epiteto di quinto Beatle non suona abusato, scomparso oggi a 90 anni. Executive e arrangiatore della gloriosa Parlophone Emi, «raccolse» John, Paul, George e Ringo ancora ragazzini dopo che erano stati scartati dalla Decca e li trasformò nella più grande rock band di sempre. Per capirci: senza il suo tocco «classico» i Fab Four non sarebbero mai arrivati alle orchestrazioni di «Yesterday» o «A day in the life». Carriera impareggiabile, la sua: 23 singoli al primo posto nella classifica americana, 30 in quella britannica, una nomination all’Oscar (per la colonna sonora di «A Hard Day’s Night»), 37 settimane di permanenza in testa alle charts del Regno Unito per i suoi dischi nel solo 1963. Con Elton John nel 1997 riarrangerà «Candle in the wind» – pezzo originariamente scritto alla memoria di Marilyn Monroe – per salutare la scomparsa di Lady Diana. Brano che, sull’onda emotiva, diventa presto il secondo singolo più venduto della storia. Un visionario: nel 1965, all’apice del successo, lasciò la Emi per mettersi in proprio, continuando a lavorare come freelance per smarcarsi dalle pressioni della major. E permettere ai Beatles di fare quello che volevano. Dopo che lui aveva spiegato loro cosa volevano veramente.