Guai a entrare in conclave papi ché si esce cardinali. La massima molto in voga oltre Tevere in occasione di ben altre nomine oggi vale per Domenico De Masi, sociologo teorico dell’ozio creativo che era dato favoritissimo cavallo di ritorno nella corsa per la carica di presidente della Fondazione Ravello. Pare avesse già in agenda appuntamenti per riprendere il lavoro laddove lo aveva interrotto nel 2010, quando lasciò la città wagneriana e, con lui, se ne andò la partnership tra il Ravello Festival e la Fondazione Mps. Il consiglio d’indirizzo dell’ente che organizza la kermesse, tuttavia, riunitosi oggi a Napoli ha prodotto l’ennesima fumata nera. L’asse tra comune di Ravello e provincia di Salerno promosso dal sindaco Paolo Vuilleumier che, secondo indiscrezioni, stava dietro la candidatura di De Masi non ha tenuto. Altre ipotesi esotiche – su tutte quella della nomina di Vittorio Sgarbi – non sono apparse praticabili, ergo tocca ripartire dal via. Piccolo bignami per chi non è pratico di vicende ravellesi: il consiglio d’indirizzo convocato oggi dal commissario ad acta Raffaele Scognamiglio per eleggere il cda della Fondazione è composto da 11 figure espressione di ministero dei Beni culturali (uno), regione Campania (quattro), provincia (due) ed Ept di Salerno (uno), comune di Ravello (tre). All’incontro, a quello che risulta, erano presenti i tre consiglieri del comune, i due della provincia e quello dell’Ept (privo per statuto di diritto di voto). Per la regione c’era l’ex presidente del Tribunale di Napoli Carlo Alemi che, secondo i rumors, a un certo punto avrebbe abbandonato la seduta sbattendo la porta. Assenti tutti gli altri. Ci fosse stata intesa tra i presenti – cosa che sembrava piuttosto scontata alla vigilia -, l’opzione De Masi sarebbe andata in porto. Ma alla fine, dopo cinque ore di consultazioni intervallate da pause di riflessione, è stato necessario aggiornarsi. Un altro sintomo della crisi di governance che affligge ormai il Ravello Festival, dove persino quello che dovrebbe essere un momento solenne, come la rappresentazione del «Parsifal», ormai salta per l’esibizione di un organettista pugliese. La situazione, parafrasando il grande Ennio Flaiano, è grave ma non seria. E invece ci sarebbe bisogno di tanta serietà, per non immolare alle beghe di Paese quel patrimonio di credibilità che il festival, anno dopo anno, si è faticosamente conquistato.