Barley Arts e i grandi assenti dai nostri palchi: «Noi a un passo da Brian Wilson e Billy Joel, ma è difficile convincerli a venire in Italia»

Eggià, la legge della domanda e dell’offerta. Il problema sta un po’ tutto qua: se l’idolo della tua giovinezza, uno che negli anni Settanta magari faceva ferro e fuoco, oggi non si esibisce più in Italia, le ragioni molto probabilmente risiedono nel fatto che ha perso appeal sul nostro pubblico e al momento della sottoscrizione di un contratto non è disposto a scendere più di tanto con le pretese rispetto a quanto avrebbe portato a casa negli anni d’oro. Il post che ieri abbiamo dedicato ai grandi assenti dai palchi italiani ha avuto reazioni sorprendenti da parte di appassionati e addetti ai lavori. L’appello ai promoter – quel provocatorio «portateceli qui», riferito ad artisti da troppo tempo lontani dalle ribalte dello Stivale – non è affatto caduto nel vuoto. Ne è nata per esempio una chiacchierata divertita e divertente con Claudio Trotta, patron di Barley Arts, promoter che negli ultimi trent’anni ha lavorato un po’ con tutti. «Quando escono questi pezzi – ci dice – sono contento, trovo il dibattito stimolante e, soprattutto, colgo l’occasione per spiegare meglio come funziona il nostro settore e il nostro lavoro». Trotta passa in rassegna l’intera lista dei «magnifici 14» che tanto ci mancano: «Partiamo da Steve Miller. Nel 2010 al Teatro Smeraldo di Milano avrei dovuto farlo io. Ci eravamo tarati sulle 1.500 persone, ma dopo quattro mesi di prevendita fu il suo management ad annullare: si viaggiava terribilmente a rilento, calma piatta, il pubblico non rispondeva. Peter Frampton l’ho fatto diverse volte». Nonostante i fasti dei «glory days» andati, «oggi in Italia ha un tiro da 300, massimo 400 persone». Diverso il discorso per Carole King: «Qui da noi – precisa Trotta – ha un suo potenziale. Può fare un buon teatro, gli Arcimboldi per esempio, non certo l’Arena di Verona. Ma le pretese sono alte». Booker T. Jones si muove poco per l’Europa, mentre Steve Winwood e John Fogerty «hanno un buon tiro, diciamo dai 1.200 ai 1.700 potenziali biglietti venduti, ma anche in questo caso pretese molto alte». Dalla chiacchierata col patron di Barley Arts esce fuori poi che eravamo a un passo dal vedere il tour di «Pet Sounds» in Italia: «Ero d’accordo con il management per portare Brian Wilson (nella foto tratta dal suo profilo Facebook) qui. Anche in quel caso ragioniamo di una capienza intorno ai 1.500 posti, ma alla fine il genio tormentato dei Beach Boys ha deciso di spostare il tour e non venire più in Italia». Come dire: certe volte ci si mette pure l’imprevedibilità del personaggio. Sempre un po’ più imprevedibile di quanto uno se lo aspetterebbe: proprio oggi è stata annunciata la sua presenza, ancora con il tour celebrativo dei 50 anni di «Pet Sounds», a Perugia il 15 luglio per Umbria Jazz. Tiro da circa 1.500 spettatori ma «grandissime aspettative» anche per Emmylou Harris, «artista che non a caso da queste parti non si vede mai», mentre sul conto di Robbie Robertson «va detto che si muove pochissimo, ma se venisse potrebbe riempire gli Arcimboldi senza grossi problemi». Roger McGuinn e Randy Newman «li ho fatti spesso e con non poco rammarico mi tocca ammettere che, nonostante la loro grandezza artistica, oggi qui non andrebbero oltre i 400 spettatori paganti». Discreto tiro potenziale («Diciamo sui mille spettatori») per Dr. John «con cui ho lavorato più volte», mentre discorso a parte lo meritano Billy Joel ed Eric Clapton. «Il primo – racconta Trotta – sono stato a vederlo l’anno scorso alla Wembley Arena: forma strepitosa. Lo conosco bene: l’ho portato in Italia due volte ed è andata in maniera discreta. Stavolta gli ho proposto l’Arena di Verona ma non se n’è fatto niente. Stiamo parlando di un signore che riempie il Madison Square Garden tutti i mesi e, quando arriva in Europa, fa gli stadi. Qui da noi non arriva a quei volumi, ma non per questo è disposto ad abbassare le pretese». Slowhand, in ultimo, «non avrebbe problemi di pubblico ma si è semplicemente stancato di fare tour in giro per il mondo». Se vuoi, devi insomma andartelo a vedere alla Royal Albert Hall o al Madison Square Garden. Fortuna che c’è un rovescio della medaglia: «Lunedì scorso – racconta Trotta – abbiamo fatto i Flaming Lips a Milano. Mancavano da 14 anni, ultimo disco straordinario, produzione live molto originale: 1.800 spettatori, tutti contenti». Fortuna che c’è chi ha mercato.