La musica dal vivo ancora una volta infila performance da record nel nostro Paese. Tuttavia, secondo il punto di vista degli operatori, continua a essere vittima della solita disattenzione da parte delle istituzioni. Di seguito riportiamo l’articolo pubblicato dal Sole 24 Ore il 4 febbraio 2016.
Non c’è crisi dei consumi, né «effetto Bataclan» che tenga: la musica dal vivo in Italia continua a crescere, sia sul versante degli spettatori (+12%) che su quello degli incassi (+17,7%). Il settore è in salute, nel 2015 ha mosso 260,5 milioni, ma le aziende adesso alzano la voce: l’associazione di categoria Assomusica scrive al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini chiedendo un incontro urgente. Motivo: nel recente Ddl “Disciplina del cinema, dell’audiovisivo e dello spettacolo” il mondo della musica popolare contemporanea «non viene minimamente preso in considerazione».
Andiamo con ordine. Chi pronosticava, dopo i terribili fatti del 13 novembre a Parigi, un crollo delle presenze ai concerti anche qui da noi è stato smentito dai fatti. Secondo l’elaborazione Assomusica sui dati Siae, il 2015 si è chiuso con 6,9 milioni di spettatori, il 12% in più rispetto all’anno precedente. Gli eventi organizzati sono stati in tutto 3.965, dato in crescita di 8,2 punti percentuali, a testimonianza che l’esistenza di una domanda solida stimola l’offerta. Il boom vero, tuttavia, è quello degli incassi, a quota 260,5 milioni (+17,7%). Il segmento più importante risulta come al solito quello dei concerti di musica leggera che “valgono” 227,8 milioni e segnano un incremento del 28,6%, mentre il jazz continua a rappresentare una nicchia (incassi a 2,5 milioni) di grande vivacità (+10,4%). Sia i big player che le 11mila pmi di settore danno lavoro a qualcosa come 400mila persone. Franceschini, a ottobre dell’anno scorso, annunciò interventi a sostegno del comparto raccogliendo il plauso degli operatori, poi è arrivato quest’ultimo Ddl. «Il settore degli spettacoli di musica dal vivo – scrive il presidente di Assomusica Vincenzo Spera in una lettera inviata ieri al ministro – non viene neanche citato tra le aree di intervento per l’esercizio della delega (solo “teatro, prosa, danza, spettacoli viaggianti e attività circensi”). La stessa impostazione della delega, finalizzata ad articolare un Codice sullo Spettacolo (art. 36 della proposta, che ho avuto modo di visionare informalmente), ci sembra più orientata a fotografare la dimensione statica del passato». La parte del leone continua a farla la musica lirico-sinfonica e Spera non ci sta: «Siamo un comparto – spiega al Sole 24 Ore – che innova, internazionalizza e dà lavoro ai giovani. Attendiamo da anni una legge quadro di riforma: la legislazione vigente è vecchia e non tiene conto dei cambiamenti intervenuti negli ultimi 40 anni». Aziende di settore che si ritrovano spesso a finanziare le fondazioni lirico sinfoniche organizzando spettacoli nei loro spazi. Per dirne una: è in corso una trattativa tra Assomusica e il comune di Verona che in una delibera ha innalzato i costi di locazione dell’Arena. Mimmo D’Alessandro, patron di D’Alessandro e Galli, non usa mezzi termini: «Siamo vittime di una discriminazione. Contribuiamo ai bilanci degli enti pubblici, vorremmo vedere riconosciuto dalle istituzioni il nostro ruolo ma ci calpestano». Nel dibattito interviene anche Roberto De Luca, presidente di Live Nation Italia, multinazionale leader di questo business: «Ci piacerebbe l’idea di coinvolgere gli artisti in questa battaglia. I problemi che incontriamo noi sono anche i loro problemi, ma la loro voce è senza dubbio più forte della nostra». Si profila una protesta a tutto volume.