Ci sono pinguini e Pinguini. Chi ci segue lo sa: questa particolarissima branca dell’ornitologia che studia gli uccelli sfeniscidi ci appassiona da tempi non sospetti, purché non si parli di pinguini qualsiasi, ma di Pinguini che hanno lasciato il segno nell’immaginario collettivo. Tipo: il Pinguino di Batman, i Pinguini di Mary Poppins, quelli di Madagascar e i Pinguini Tattici Nucleari. Per questi ultimi stravediamo da tempi non sospetti perché, quando l’It-pop convenzionalmente chiamato indie italiano sembrava una palude stagnante, hanno portato quaggiù una bella ventata di aria fresca. Perché scrivono come nessun altro in giro, suonano bene e non si prendono mai sul serio. E perché – particolare non di poco conto – ci sono Pinguini e Pinguini anche all’interno dei Pinguini Tattici Nucleari. Nicola Buttafuoco, per esempio: tra gli ultimi innesti della band della Val Seriana, «Butt» fa la sua prima apparizione ufficiosa nel video di «Le Gentil». Non da musicista, ma come attore: interpreta il professor Nikolaos Burtenstein «che solo pochi anni fa dimostrava con precisa validità scientifica l’impossibilità di viaggiare nel Tempo». Nel senso dei fazzoletti Tempo. Un consiglio: se lo incontrate, non chiedetegli di questo aneddoto: potrebbe non ricordarsene.
Con la chitarra fa la sua apparizione dall’album successivo («Gioventù Brucata») ed è il principale responsabile della svolta funky dei Ptn, quel certo non so che cantino che affiora in superclassici del gruppo come «Sciare», «Tetris» e ovviamente la hit «Ringo Starr». Di questo se ne ricorda benissimo, perché ama John Frusciante almeno quanto le felpe acetate da cui si separa solo in estate e l’Atalanta di Gasperini. Per inciso: è l’unico tra i Pinguini Tattici Nucleari veramente tifoso di calcio, nel senso di stare male quando la squadra del cuore perde. Sappiamo quello che state per dire: Riccardo Zanotti «tifa Inter da una vita», ma Riccardo Zanotti, al confronto, è un intellettuale laico. Anche perché occorre parecchio laicismo per tifare Inter. Altro aspetto che rende interessante il personaggio di Butt è la passione per la musica elettronica. Quando fu formalizzato il suo ingresso nella band (il 13 settembre 2016), l’account Facebook dei Ptn segnalava: «Oltre alla chitarra suona anche i cosiddetti pirulini di Ableton (quelli che fanno fssssssss uao gngngngn e che fanno ballare le vostre sorelline in discoteca)». Butt è infatti un grande amante del genere e – per chi non lo sapesse – ha una seconda vita da producer, con lo pseudonimo di Nairobi D.
Venerdì 25 settembre, per esempio, esce per l’etichetta berlinese Lukins «Fields», il suo secondo Ep, contenente due brani originali e due re-mix. I «campi» («Fields», appunto) in cui si muove sono quelli della folktronica, sottogenere che sposa sintentizzatori a strumenti aucustici, perché Buttafuoco ci tiene a rivendicare la funzione di musicista. La title track incrocia una ritmica tribale a suggestioni chitarristiche world music, «Motion» evoca ambientazioni mediterranee con l’utilizzo della m’bira, variante della kalimba (ah, il caro vecchio Tony Esposito!) supportata da sintetizzatori Moog, Prophet e Juno. Il primo dei due remix è curato dai Boy oh Boy, duo francotedesco con diversi anni di esperienza, una rivisitazione più techno con sintetizzatori e sonorità potenti. Il secondo remix con sonorità più ambient e downtempo, è invece curato da Marco Tegui, artista peruviano che vanta uscite su Toolroom Records, Stil Vor Talent, Get Physical, attualmente con più di due milioni di ascolti su Spotify. Che dire? Un azzardo, un meraviglioso azzardo per un artista che, dopo anni di gavetta nel circuito indipendente, si è affacciato sull’universo mainstream. Ma non è forse di questi azzardi che si nutre la passione per la musica? Sarebbe interessante sentire il parere del professor Nikolaos Burtenstein. Che stavolta dimostra «con precisa validità scientifica» la necessità di spaziare tra generi e registri.