Se ne contano 8mila tra realtà con una solida storia dietro le spalle e marchi che hanno pubblicato una sola opera nel 2014 e magari non ne pubblicheranno più. Una parte sono del circuito delle major ma la stragrande maggioranza fa parte del circuito indipendente e delle autoproduzioni. Complessivamente il settore muove un giro d’affari che, per quanto riguarda le produzioni in senso stretto, ruota intorno ai 150 milioni di euro di fatturato tra cd, digitale e vinile, di questi il 25% del mercato degli album è in mano agli indipendenti e il 35% dei singoli nasce dal mondo delle autoproduzioni e della musica emergente. E sono questi ultimi che contribuiscono a organizzare il 70% degli eventi musicali pari a circa il 30% del fatturato annuo, dando lavoro a 10mila artisti tra solisti e band. C’è grande frammentazione, è vero, ma c’è anche un innegabile dinamismo. È il mondo delle case discografiche indipendenti e delle autoproduzioni, il mare delle «indie», per usare un termine molto in voga fino a qualche anno fa, o piuttosto «la filiera dei contenuti indipendenti ed emergenti», come preferisce chiamarlo Giordano Sangiorgi, presidente di AudioCoop, coordinamento delle etichette discografiche indipendenti italiane di area pop e rock e prima società di collecting degli indipendenti tour court, nonché anima del Mei, il Meeting delle Etichette Indipendenti in programma a Faenza dall’1 al 4 ottobre tra artisti emergenti, realtà discografiche, festival e operatori del settore. L’hashtag scelto per questa edizione è #nuovoMEI2015, l’obiettivo è trasformare il centro in provincia di Ravenna in una vera e propria città della musica con live, esposizioni, workshop didattici, convegni e premiazioni delle migliori realtà indie italiane e la presenza, unico caso in Italia, dei vincitori di oltre 100 festival e contest per emergenti provenienti da tutta la penisola e selezionati dalla Rete dei Festival. «Dopo la sfida di vent’anni fa – commenta Sangiorgi – vinta a tutti gli effetti da band che si erano affacciate per la prima volta al Mei del tempo, come Subsonica, Baustelle, Caparezza, Piotta, Negramaro e tanti altri, oggi tra i pilastri della musica del nostro Paese, ora tocca alla nuova generazione, quella di Zibba, Levante, Luminal, Kutso, Erica Mou, Lo Stato Sociale, Cecco & Cipo, Ghemon, Giovanni Truppi, Nobraino, solo per citarne alcuni».
Sangiorgi, si può ancora fare una distinzione metodologica tra il lavoro delle indie e quello delle major?
Gli indipendenti rispondono solo a loro stessi, mentre le filiali delle major hanno capi multinazionali ai quali rispondere sui numeri. È una differenza non da poco. Poi mi sembra che in linea di massima oggi vi sia un’altra grande differenza: le major investono sui grandi nomi sicuri e sui talent tv mentre tutto lo scouting della musica originale inedita innovativa e creativa che arriva dalle cantine, dai contest e dai festival, dai circoli e dai club è totalmente lasciata in mano agli indipendenti. Da sottolineare però che si raggiungono ottimi risultati quando si lavora virtuosamente: una produzione indipendente con distribuzione e produzione major se fatta con amore e passione può portare benefici a tutti oltre che al pubblico. Ritengo che sia utile far fronte comune tra tutti coloro che lavorano per il Made in Italy. Non ci sono poi solo le etichette: in questi anni abbiamo visto grossi investimenti anche tramite le piattaforme di crowdfunding, senza le quali non avremmo avuto probabilmente molte produzioni indipendenti della scena italiana.
Un fenomeno positivo?
Al contrario di un tempo, dove trovavamo al centro di un progetto la spinta ideativa del marketing, con la diminuzione delle risorse da una parte e dall’altra l’evoluzione tecnologica che permette di arrivare sul mercato anche con pochissimo, oggi al centro troviamo l’artista che spesso ha già un’idea ben precisa di quello che vuol fare. E di cosa ha bisogno? Di un nuovo modello di casa discografica, a cui forse si può avvicinare di più una indipendente, che sia una sorta di agenzia a 360 gradi, e che quindi gli permetta di trovare quelle professionalità che lo aiutino. Ormai il lavoro è tutto rivolto a social e web, campi in cui gli artisti sono spesso più esperti addirittura spesso dei discografici e del loro modello di business che in tanti casi deve essere aggiornato.
Come far crescere il business della musica in Italia?
Fondamentali saranno gli investimenti che si faranno coi soldi in più che arriveranno ai produttori e agli artisti attraverso l’equo compenso grazie a un decreto firmato dal ministro per i Beni culturali Dario Franceschini a favore della creatività musicale e cinematografica: nel 2015 potremo contare su circa 150 milioni in più in arrivo dall’uso della musica e dei video dai device mobile e dagli altri strumenti dell’innovazione tecnologica. Serve che una parte di questa cifra, almeno intorno al 25% a monte, attraverso un tavolo tecnico, venga investita sull’innovazione della creatività giovanile per dare un futuro alla musica italiana supportando con una somma importante quasi da «Piano Marshall della musica» una ricca Rete dei Festival capace di integrarsi al Fus e di fare emergere nuovi talenti attraverso borse di studio per giovani artisti, finanzi sgravi per gli organizzatori sui diritti per i piccoli concerti facilitandone la realizzazione attraverso la Scia. Si valorizzino le presenze sui grandi media pubblici e privati dei nuovi artisti del futuro del nostro paese capaci di fare innovazione e creatività e dall’altro, infine, si utilizzino per mettere a sistema una piattaforma on line tra le prime al mondo per la diffusione della nostra musica e per mettere a sistema un’agenzia per la promozione della musica italiana all’estero capace di accompagnare anche tutte le nostre altre azioni di promozione. Un lavoro di «Sistema Musica» che porterebbe di nuovo la nuova musica italiana al centro della nostra identità culturale nel mondo con un grande ritorno d’immagine, economico, turistico e culturale.