Dunque rieccoci: dal 17 ottobre si svolgerà la nona edizione di Jazzmi, il festival diffuso che come da tradizione, per circa un mese, farà di Milano la capitale italiana del jazz. Com’è cambiato l’evento in questi nove anni? Dove vuole andare adesso? A margine della conferenza stampa di presentazione, ne abbiamo parlato con i direttori artistici Luciano Linzi e Titti Santini (nella foto da sinistra Andrea De Micheli di Casta Diva, l’assessore alla Cultura di Milano Tommaso Sacchi, Luciano Linzi e Chiara Angeli di Volvo)
Qual è la cifra di questa edizione di Jazzmi?
«È quella che ha reso celebre questo festival in questi nove anni», risponde Linzi. «Rappresentare l’universo del Jazz nel modo più ampio e completo possibile, in tutte le forme che questa musica sa prendere per rinnovarsi e rinnovare il proprio pubblico. E quest’anno è sicuramente nel segno di Miles Davis, con la proiezione al Teatro dell’Arte del suo concerto del 1964 tenuto proprio lì, e la rivisitazione del suo capolavoro “Sketches of Spain” da parte di Israel Galvàn e Michael Leonhart. Una produzione originale di Jazzmi».
Com’è cambiato, in termini numerici, il festival dalla prima edizione a oggi?
«Il festival negli anni è passato dallo svilupparsi in due weekend contigui a spalmarsi su quasi un intero mese di programmazione, aumentando di conseguenza il numero di eventi sia gratuiti che a pagamento», risponde Santini. «Numericamente parlando si è passati da 30mila a 50mila presenze, che per un festival jazz indoor credo sia un risultato davvero importante».
Esistono stime dell’indotto economico di Jazzmi?
«Non abbiamo mai commissionato uno studio a riguardo ma abbiamo i dati sensibili delle vendite e la loro geolocalizzazione», continua Santini. «Sappiamo che oggi il pubblico di Jazzmi arriva da tutta la Lombardia, e spesso da fuori regione. Il che sicuramente garantisce, nell’arco temporale in cui il festival si svolge, un grosso indotto per quanto riguarda trasporti, hotel, ristoranti, musei eccetera».
Qual è l’identikit del pubblico del festival?
«È ampio e diversificato, a testimonianza di come il jazz sappia dialogare con generazioni e culture diverse», secondo Santini. «Da un lato, accogliamo i veri intenditori, persone che seguono il jazz da anni, apprezzandone la raffinatezza, complessità e storia. Dall’altro, continuiamo a coinvolgere un pubblico giovane, attratto dalle contaminazioni tra jazz, hip-hop, elettronica e altri generi contemporanei. Inoltre, il festival richiama visitatori stranieri, che amano immergersi nell’atmosfera unica che anima la città durante l’evento. Grazie alla varietà del programma e all’accoglienza inclusiva, ogni spettatore può vivere il festival a modo suo, che sia attraverso un concerto classico o un’esperienza più immersiva e interattiva».
Al di là dei risultati di quest’anno, cosa manca ancora a Jazzmi?
«Si può e si deve sempre migliorare», risponde Linzi. «A mio avviso dobbiamo aumentare lo spazio da dedicare alla nuova generazione di musicisti italiani ed europei, possibilmente cercando un luogo specifico fisso da dedicare loro, non solo durante il festival ma anche durante l’anno. Intensificare i rapporti con festival europei affini al nostro, per ideare e co-produrre progetti originali. E poi sarebbe un sogno ideare un luogo che potesse ospitare la storia del Jazz a Milano: fotografie, filmati, documenti, registrazioni audio, incontri, presentazioni. Una sorta di museo interattivo, dinamico. Per celebrare l’eterno matrimonio che lega Milano a questa musica meravigliosa».