Qualcuno deve pur dirlo, ma nessuno ha il coraggio. Ci facciamo avanti noi: basta con il Fantasanremo. Non abbiamo nulla contro il giochino in sé, capiamoci, così come non abbiamo nulla contro il Fantacalcio: è che la continua corsa dei cantanti a fare cose strane sul palco dell’Ariston per distribuire punti a chi li ha messi in squadra è diventata una roba stucchevole. Tutti con le scope in mano, a distribuire fiori agli orchestrali e in platea, a baciare le mamme sedute tipo prima comunione, a vestirsi di nero ché di questi tempi è pure tornato di moda, a piedi nudi nel parco, a guidare a fari spenti nella notte per vedere eccetera eccetera, ma ora anche basta. Pure molti sacrosanti appelli contro la guerra, a questo punto, diventano sospetti. Tutti con questi segni da rito iniziatico che solo chi fa il Fantasanremo capisce.
Bellissima la storiella degli amici al bar che si inventano il format e, edizione dopo edizione, partendo dal basso prendono il potere comunicativo dell’evento, riuniscono otto main sponsor, otto sponsor e quattro partner istituzionali, roba degna di una squadra di Serie A. Un bel segnale per un paese vecchio che nemmeno si ricorda più cosa sia la mobilità sociale, dove nessuno inventa niente dal basso, dove gli autori delle canzoni sono spesso figli di autori di canzoni, dove gli attori ospiti sono spesso figli e nipoti di attori, dove gli scenografi sono figli di scenografi eccetera eccetera.
Capiamo benissimo che, per esigenze di marketing, la second screen experience è diventata fondamentale: un evento televisivo nazionalpopolare è ancora più nazionalpopolare se lo condividi con gli amici vicini e lontani. Che c’è di meglio di una gara parallela a Sanremo che dipende dalle dinamiche di Sanremo?
Capiamo l’effetto dirompente che il Fantasanremo ha avuto su Sanremo: Pippo Baudo regnante, se un cantante faceva una mossa un po’ curiosa nella sua esibizione, qualcosa di non previsto dal copione e concordato con la direzione artistica, finiva subito squalificato (ne sanno qualcosa gli Aeroplanitaliani). Adesso è una corsa a rompere la liturgia: tutti i concorrenti in gara cercano di posizionarsi sul segmento della diversità con l’effetto di diventare per paradosso tutti uguali.
Patetico che importanti quotidiani nazionali tutti i giorni si affannino a rincorrere il fenomeno: continuiamo così, facciamoci del male noi media tradizionali, inseguiamo il dibattito piuttosto che provare a imporlo e avremo ottime chance di estinguerci in ics anni.
Rivolgiamo allora una sentita preghiera al prossimo direttore artistico di Sanremo, che sia Amadeus o un altro: diamo un bonus in classifica generale agli artisti che non si prestano ai siparietti da Fantasanremo. Essere artisti è un dono eccezionale ma è anche un lavoro. E scherzare quando si lavora è bello, purché sia eccezionale. La regola dovrebbe essere la serietà.