Elodie, Annalisa & co. sono icone femministe o stereotipi femminili?

Tocca parlare di Elodie, Annalisa, Angelina Mango e non solo. Quello che state per leggere è il pezzo più scivoloso della storia di «Money, it’s a gas!» Ci lasciamo alle spalle la settimana dolorosa del lungo addio a Giulia Cecchettin e tutti quanti speriamo che quanto è successo non sia successo invano. Abbiamo osservato minuti di silenzio e ascoltato i «Facciamo rumore», sentito a lungo parlare di patriarcato. Giustissimo, non fosse che quotidianamente, nei fatti, notiamo atteggiamenti che stonano, stridono o addirittura contraddicono quei principi.

Facciamo innanzitutto autocoscienza, come si portava ai tempi del femminismo. Sui giornali abbiamo scritto intere paginate di reportage su femminicidi e sacrosante manifestazioni di piazza di donne e uomini indignati. E sotto quelle paginate, spesso e volentieri, pubblicità più o meno eleganti che riducevano il corpo femminile a stereotipo, se non peggio: oggetto. E più avanti, nello sfoglio, servizi di costume che non rendevano certo servizio migliore alla causa.

Siccome qui ci occupiamo di musica e di economia della musica, proviamo a stringere il focus sul settore. Che giustamente si è mobilitato: non si contano i fiocchi rossi appuntati alle giacche dei/delle cantanti. A qualche concerto si è osservato il minuto di silenzio per Giulia. Giustissimo, ma che modello della donna propone la musica mainstream contemporanea?

Ci vengono in mente Elodie, Annalisa, Angelina Mango, ma potremmo continuare. Artiste, interpreti, hitmaker in cui la sensualità gioca un ruolo tutt’altro che secondario nell’offerta artistica. Essere sexy sembra quasi che sia diventato un attributo imprescindibile per un’artista femminile, tra vestiti che si accorciano, pose che si inarcano, testi che ammiccano, voci che devono ansimare.

Qualcuno dirà che scopriamo l’acqua calda, che da mò, che negli anni Ottanta c’erano Madonna, Samantha Fox, Sabrina Salerno. Vero, ma c’erano anche Sinead O’ Connor e Tracy Chapman, per limitarci ai primi nomi che ci vengono in mente. Oggi sembra quasi che il corpo femminile per cantare e aver successo cantando debba per forza essere sessualizzato, in Italia più che al livello internazionale.

Qualche altro dirà che la sensualità è l’ultimo approdo della riappropriazione del corpo da parte della donna, un atto femminista. Punto di vista legittimo che qualche anno fa esprimeva anche la pornostar francese Ovidie. Ci dispiace, saremo boomer ma abbiamo altri modelli di femminismo: Simone de Beauvoir e Gloria Steinem, gente così. Oppure, se vogliamo limitarci a parlare di musica, Joni Mitchell e Carole King. La donna che pensa, scrive, comunica (con) la sua arte.

Qualche altro ancora dirà che siamo bacchettoni. In realtà, è esattamente il contrario: siamo convinti che nell’offerta musicale contemporanea l’atto più trasgressivo sarebbe tornare indietro a quel tipo di racconto della donna. Pensato e scritto dalla donna. Un racconto incentrato sui contenuti, piuttosto che sul corpo. Ma non so se siamo abbastanza trasgressivi da meritarcelo.

  • Pietro Pellegrini |

    Completamente d’accordo. Se vuoi spendere un po’ di tempo sui testi delle canzoni, molto amate dai giovani(?), scopri cose da restare basiti!!

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