Non è la prima volta che a queste latitudini raccogliamo la voce di Jean Michel Jarre, padre della musica elettronica contemporanea, padrino del French Touch e autore di quell’indimenticabile capolavoro che si chiama Oxygene (1976). Il maestro francese in questi giorni a Milano è stato protagonista dell’OnMetaverse Summit (nella foto), l’incontro dedicato alla trasformazione digitale realizzato da AnotheReality in collaborazione con Fiera Milano. Siamo felici di ospitare qui il suo intervento.
Se si parla del digitale sono stati tre i momenti nella mia vita che hanno segnato la mia carriera: la comparsa del synthesizer, la nascita del computer e oggi, forse, quello più importante, lo sviluppo dei mondi immersivi, realtà virtuale (VR), l’extended reality (XR) e l’intelligenza artificiale. Dovremmo sempre tener conto che la tecnologia è neutra, non dovremmo aver paura dell’innovazione, anche se è nel nostro DNA pensare che ieri fosse un giorno migliore di come lo sarà domani.
Il Covid probabilmente ha avuto il ruolo di acceleratore della digitalizzazione, non solo nel campo dell’arte ma in tutti gli ambiti. E adesso, infatti, grazie agli strumenti che abbiamo a disposizione, è un momento particolarmente entusiasmante per creare.
In merito ai miei nuovi progetti: uno è Oxymore, un progetto multimediale molto speciale per me, con il quale sono voluto tornare alle radici, le fondamenta, della musica elettronica francese. Ci sono questi due artisti – Pierre Henry e Pierre Schaeffer – che all’inizio degli anni Quaranta hanno definito il linguaggio che ancora oggi utilizziamo nella musica elettronica, perché hanno avuto l’intuizione di integrare i suoni con i rumori, mixando il suono del clarinetto con il rumore della lavatrice. Il mio album si basa su questa idea e sulla necessità di creare qualcosa da zero e che fosse coinvolgente a 360 gradi.
Oggi qui parliamo di metaverso, ma quando parliamo di metaverso, in molti si focalizzano sull’aspetto visivo, mentre solo in pochi prendono in considerazione il suono. Però se si vuole creare un senso di immersività, la visione non basta, in quanto è limitata alla sola portata dello sguardo, mentre il suono è una sensazione a 360 gradi. Quindi nella VR e nella XR è molto importante tenere in considerazione il suono.
Se ci pensiamo, il primo vero oggetto virtuale è il libro. Quando si legge veniamo trasportati in una nuova realtà, in cui ci immaginiamo la faccia e l’aspetto del protagonista. Le nuove tecnologie immersive permettono di fare un passo ulteriore, e questo ci consente di approfondire il rapporto con l’arte, perché l’arte è l’estensione dell’immaginazione.
Oxymore è un album che fin dall’inizio è stato concepito a 360 gradi, mentre, di norma, quando si produce, lo si fa prima in stereo e poi si adatta a 360 gradi. Per decenni abbiamo avuto una relazione frontale (in 2D) con il suono e le immagini, ed è qui che entrano in gioco la VR e il 360 gradi, perché ci permettono di vivere l’esperienza in maniera naturale e tornare all’origine.
Lo scopo finale di un’artista è quello di condividere il più possibile le emozioni con il pubblico e le tecnologie amplificano questa condivisione.
Ho iniziato a interessarmi alla VR da un bel po’. Ho iniziato a lavorarci attorno al 2018, poi è scoppiato il Covid, che per me è stato un acceleratore, e da lì ho cominciato a collaborare con una giovane azienda francese, VRrOOm, con la quale ho realizzato alcuni progetti. Uno di questi è stato il concerto di capodanno, «Welcome to the Other Side», un concerto virtuale a Notre-Dame a cui hanno assistito 75 milioni di spettatori.
Questo ha dato una nuova prospettiva: quella di raggiungere delle persone che non sono necessariamente di fronte a te. Per me è stata un’esperienza meravigliosa, per il rapporto che si è creato con l’audience.
Jean-Michel Jarre