Universal Music Group, nell’anno solare 2022, ha speso appena 507 milioni di euro in acquisizione di cataloghi di artisti. Nel 2020 la stessa voce di bilancio era pari ad addirittura 1,57 miliardi. Che è successo in questi due anni? Si è fermata la corsa all’oro sui diritti e i master della musica? O c’entra qualcosa la quotazione di Universal Music Group, avvenuta nel settembre 2021?
Se lo chiede Music Business Worldwide in un interessante articolo d’analisi appena pubblicato. Un pezzo che fa una serie di supposizioni. Sicuramente con il dato importante del 2020 c’entra l’operazione Bob Dylan, quando per una cifra che si aggirava sui 300 milioni Umg mise i diritti sul catalogo del premio Nobel nella cassaforte della sua controllata Universal Music Group Publishing.
Può essere che il mercato della vendita dei cataloghi adesso sia in frenata? I deal messi a segno nel 2022, in particolare la recente acquisizione del catalogo di Justin Bieber da parte di Hipgnosis per 200 milioni, dicono il contrario. Può essere che la nuova esitazione nell’effettuare investimenti nasca dalla necessità di staccare cedole importanti agli azionisti? L’una cosa non è in contrasto con l’altra, secondo la ricostruzione di Music Business Worldwide. E allora che sta succedendo?
Per capirlo occorre andarsi a rileggere le parole pronunciate dal ceo di Umg Lucien Grainge nella call con gli investitori sui dati del quarto trimestre del 2022: l’esitazione del gruppo nello spendere miliardi in diritti sarebbe un importante vantaggio per gli investitori. Grainge ha sostenuto che molti fondi attivi nell’odierno mercato dei diritti musicali sono solo «partecipanti passivi» ai flussi di reddito della musica, ossia non hanno il controllo dell’utilizzo delle licenze di un determinato brano musicale.
Comprano per poi rivendere, seguendo logiche più o meno speculative. «Umg, invece, non si occupa di diritti passivi», ha dichiarato Grainge. «Siamo estremamente selettivi nelle acquisizioni di diritti. Data la nostra posizione nel settore, vediamo, suppongo, quasi tutto. La maggior parte la scartiamo».
Interessante quanto accaduto proprio a proposito della vendita dei diritti di Justin Bieber: Umgp ha a lungo amministrato il catalogo dell’artista canadese. Di sicuro ha «visto» il dossieri e, se non l’ha comprato, deve essere stato per la mancata volontà di partecipare a un’asta con Hipgnosis che ha alle spalle Blackstone.
E qui torniamo all’ultima call con gli azionisti: «Eseguiamo analisi avanzate per comprendere la probabile distribuzione dei risultati per gli asset disponibili. E a partire da ciò, selezioniamo solo gli asset migliori per le acquisizioni», ha detto il vicepresidente Boyd Muir. Grainge in persona ha aggiunto: «Se si guarda alla totalità dell’Ebitda incrementale che arriva a Universal dall’acquisizione di cataloghi, non è davvero così significativo nel contesto della totalità della nostra attività».