Tema centrale per il futuro prossimo (diciamo pure il presente progressivo) dell’industria della musica è la remunerazione dell’utilizzo social. TikTok, per esempio, è un social che vive di musica. Non si può però dire che valorizzi il contenuto musicale come le piattaforme di streaming nate con lo scopo di distribuire canzoni. Sul tema abbiamo chiesto un intervento a Daniele de Angelis, counsel del dipartimento di Proprietà Intellettuale dello studio legale Bird & Bird. Ci ha risposto con lo scritto che segue.
L’industria musicale ha saputo espandersi e diversificarsi nel tempo grazie alla evoluzione tecnologica: dai primi multitraccia ai supporti digitali, fino alla smaterializzazione della fruizione on line. La musica on line circola senza un supporto fisico, è liquida, e come tale ha la propensione a occupare nuovi spazi di fruizione. La digitalizzazione consente inoltre la riversione dei supporti fisici in file digitali e la rimasterizzazione delle tracce dei primi supporti analogici.
Le case discografiche possono così ampliare l’offerta digitale con la riemersione e la (ri)utilizzazione di vecchi cataloghi. Anche il concetto di supporto si smaterializza. Ed ecco che la prima fissazione è realizzata attraverso un file destinato a circolare in ambienti esclusivamente digitali, per esempio come Nft (Non-Fungible Token). Il Metaverso offre poi nuovi spazi per le performance degli artisti, complementari rispetto a quelle fisiche. Anche la diffusione radiofonica si è evoluta. Ha trovato nuovi spazi attraverso la convergenza del media radiofonico con quello (televisivo prima, e poi) on line.
La radio è il primo settore dove si è affermato il modello remunerativo basato sul connubio tra pubblicità e diffusione della musica. Questo modello caratterizza (con gli adattamenti del caso) anche i social network dove i contenuti musicali sono condivisi dagli utenti. Ma la tecnologica nasconde anche delle insidie, perché con essa evolve anche la pirateria: dai supporti di prodotti musicali contraffatti, alla condivisione dei file digitali del caso Napster dei primi anni Duemila, fino alle più evolute piattaforme on line o di riproduzione di link a luoghi di internet dove sono presenti file musicali non consentiti, o ancora all’estrazione ed alla riutilizzazione dei contenuti musicali lecitamente pubblicati on line.
L’industria musicale è colpita anche dal singolo utente che pubblica contenuti musicali dal proprio canale o profilo social. Il legislatore è intervenuto a più riprese sul versante civile e penale per intensificare la tutela dei diritti musicali: misure contro la distribuzione di supporti di musica contraffatta e la circolazione on line non consentita di file digitali qualitativamente identici agli originali; azioni contro la rimozione delle misure tecniche anticopia e anti-accesso; procedure amministrative rapide azionabili quando i fornitori on line di contenuti illeciti non sono agevolmente individuabili. Allo stesso tempo il legislatore ha intensificato l’onere di cooperazione in capo alle piattaforme social network, perché raggiugano accordi remunerativi con i titolari dei diritti o diversamente implementino strumenti che impediscano la circolazione di contenuti non consentiti.
E qui la partita si gioca sugli sforzi che l’industria musicale e i fornitori di tali piattaforme compiranno per giungere a un livello di cooperazione efficiente ed al tempo stesso di reciproca sostenibilità economica. Al momento questa sembra la sfida per la creazione di un ecosistema virtuoso di offerta lecita di musica quanto più possibile ampio e diversificato, in grado di soddisfare la domanda crescente di fruizione on line di prodotti musicali. Resta il tema della lotta alla pirateria che altrettanto si nutre del progresso tecnologico. Gli strumenti legali ci sono. E anche essi si evolvono di pari passo.