The Black Keys, perché «Dropout Boogie» è il loro miglior disco dai tempi di «El Camino»

C’è un po’ di musica buona che esce, venerdì 13 maggio, e qui a «Money, it’s a gas!» moriamo dalla voglia di segnalarvela. Mentre impazza il baraccone dell’Eurovision Song Contest, possiamo dire che è tutta salute: stiamo parlando di «Dropout Boogie», undicesimo album di The Black Keys, band che ci è cara assai. Merita la segnalazione perché dopo qualche episodio un po’ così così («Turn Blue», «Let’s Rock» e «Delta Kream») gli amici Dan Auerbach e Patrick Carney sembrano tornati dalle parti di «Brothers» ed «El Camino», i dischi che ce li hanno fatti amare. C’è il blues, ovviamente: tanto blues. Ma c’è anche un gusto per la scrittura rock che difficilmente si trova altrove. Se avete già apprezzato il singolo acchiapponico «Wild Child», vi innamorerete della melodia lo-fi di «It ain’t over», dell’odore di swamp che arriva da «For the love of money» (che, come titolo, tra l’altro ci sarebbe stato benissimo sulla testata di questo blog), del duello chitarristico con lo ZZ Top Bill Gibbons su «Good love».

«Dropout Boogie» è il miglior disco dei Keys per stessa ammissione dei diretti interessati.  «È immediato», dice Auerbach. «Non abbiamo mai dovuto lavorarci davvero. Ogni volta che ci riunivamo, facevamo solo musica, sai? Non sapevamo cosa avremmo fatto, ma lo facevamo e basta e suonava bene. È la chimica naturale che abbiamo io e Pat. L’essere in una band così a lungo è una testimonianza di questo. È stato un vero dono che ci è stato dato. Voglio dire, le probabilità di trovarsi a un isolato e mezzo l’uno dall’altro ad Akron, Ohio, è semplicemente pazzesco».

Dopo aver messo a punto le idee iniziali come duo nello studio Easy Eye Sound di Auerbach a Nashville, Auerbach e Carney hanno dato il benvenuto ai nuovi collaboratori Billy Gibbons, Greg Cartwright e Angelo Petraglia. Anche se The Black Keys avevano già scritto brani con il produttore/collaboratore Danger Mouse, questa è la prima volta che hanno invitato diversi nuovi collaboratori a lavorare contemporaneamente su uno dei loro album. Si possono sentire sia Cartwright che Petraglia sul primo singolo del nuovo album «Wild Child», per esempio.

«Vivere a Nashville e fare l’album qui ha aperto entrambe le nostre menti a quell’esperienza in più», ha detto Auerbach. «Sapevo che Pat avrebbe amato lavorare con entrambi questi ragazzi, così abbiamo deciso di fare un tentativo. Era la prima volta che lo facevamo davvero. È stato molto divertente. Ci siamo semplicemente seduti intorno a un tavolo con delle chitarre acustiche e abbiamo lavorato a un brano in anticipo». Con Cartwright, in particolare, il feeling è stato intenso: «La cosa bella di Greg è che vuole avvicinarsi alle cose con una storia in mente, c’è quasi una trama», aggiunge Carney. Ascoltare per credere: è rock retromaniaco, ma ci piace così e c’è soltanto da ringraziare i ragazzi. Magari utilizzando le loro stesse parole: «Your team is looking good».