Non solo ha invertito la rotta del music business, tirandolo fuori dalle secche della grande crisi, ma a quanto pare mette pure ottimismo tra gli analisti. Stiamo parlando dello streaming che, fino a qualche anno fa, rappresentava il futuro, oggi potremmo dire senza grossi giri di parole che è il presente della discografia globale. Goldman Sachs, nell’ultima edizione del report «Music in the Air», rivede in chiave di rialzo le stime sulla crescita del mercato, proprio grazie agli effetti che avrà su di esso la cosiddetta «musica liquida». Nel 2030, secondo lo studio, il settore muoverà complessivamente 45 miliardi di dollari, contro i 44 della precedente rilevazione. Un bel po’ di strada avanti rispetto ai 19,1 miliardi di dollari di valore di mercato registrato nel 2018 dall’ultimo Rapporto Ifpi. Lo streaming a pagamento, per allora, genererà 27,5 miliardi di dollari, anche qui all’insegna di una revisione al rialzo delle stime (27,1 miliardi). Lo streaming complessivo – dato che considera, cioè, anche il peso degli ascolti supportati dalle inserzioni pubblicitarie – dovrebbe raggiungere i 37,2 miliardi.
Ma lo spaccato del report di Goldman Sachs che fa più impressione è quello riguardante il numero di abbonati ai servizi di streaming premium: oggi sono 255 milioni, ma nel 2023 dovrebbero diventare 690 milioni e nel 2030 addirittura 1,15 miliardi, a fronte dei 901 milioni delle precedenti stime. Un exploit che, secondo gli analisti, sarà figlio delle performance sui mercati emergenti che esprimeranno il 68% dei «subscribers», ossia Asia e Sud America. Un aspetto, quest’ultimo, che dovrebbe portare a un crollo dei ricavi medi per utente da streaming a pagamento: dagli attuali 32,70 dollari fino a quota 24,60 dollari.
Nel 2030, secondo Goldman Sachs, Spotify resterà leader del mercato dello streaming premium con una quota del 32%, comunque diluita rispetto all’attuale 38 per cento. Alla luce di queste prospettive, lo studio «Music in the Air» si sbilancia anche su una stima del valore di mercato di Universal Music Group, prima major discografica a livello globale: dovrebbe valere tra i 25,1 e i 35,2 miliardi di euro. Numeri che piovono su uno scenario che vede Vivendi, la holding finanziaria di Vincent Bolloré che controlla Umg, impegnata a trovare un partner per una quota del 50 per cento. Una «sfida» che, secondo Music Business Worldwide, potrebbe essere raccolta da Tencent, Alibaba, Kkr, Apple, Verizon, Amazon o Liberty Media. Sarà mica un caso che Goldman Sachs è advisor dell’operazione?