Le produzioni indipendenti in Italia valgono 69 milioni, il 26% di un mercato discografico che l’anno scorso ha toccato quota 265 milioni. Nel business delle indie vale di più lo streaming (29%), seguito a stretto giro dal download (27%) e non troppo distanziato dal supporto fisico (24%), mentre il rimanente 20% di giro d’affari è determinato da altre entrate come sincronizzazioni e diritti connessi. Dati forniti quest’oggi durante il convegno «La discografia indipendente tra diritti, innovazione e rivoluzione digitale», organizzato dall’associazione di categoria nazionale Pmi e da quella internazionale Impala a Milano, presso gli spazi di Santeria (nella foto). Dati nuovi nell’approccio, quelli elaborati dall’osservatorio Win (Worldwide Indipendent Network): non si è tenuto conto della distribuzione dei prodotti discografici, ma della titolarità su di essi. Tradotto in soldoni: laddove ci si trovava di fronte a un disco prodotto da una indie label e distribuito da una major, le vendite di questo venivano conteggiate alla indie. L’approccio ha portato a una rivalutazione del peso delle etichette indipendenti anche a livello globale, con una percentuale di incidenza sul mercato discografico complessivo del 37 per cento. Tornando all’Italia, il mercato fisico vale 118 milioni e vede le major a quota 76% e le indie al 24 per cento. Il download vale 28 milioni (per il 73% in mano alle major e per il 27% alle indie) e lo streaming 53 milioni (major al 71% e indie al 29%). «L’approccio del metodo Win – sottolinea il presidente di Pmi Mario Limongelli – porta insomma a una vera e propria rivalutazione del ruolo delle etichette dipendenti, in Italia come all’estero. Siamo una componente importante della filiera della musica e intendiamo ragionare in ottica di sistema, cogliendo le sfide della modernità». Sfide messe sotto la lente nel convegno di Milano, a cominciare dalla tecnologia comunemente definita Blockchain che sta alla base della moneta elettronica Bitcoin e della sua possibile applicazione al settore musica. «Una tecnologia – spiega Limongelli – che consentirebbe di accorciare ulteriormente la filiera di settore, con vantaggi economici sia per gli aventi diritto che per i fruitori». Ampio spazio, nel dibattito, è stato quindi dedicato alle politiche dell’Unione europea in materia di copyright. Grande protagonista, su questo versate, il tema del value gap, «l’iniqua distribuzione dei ricavi da musica tra piattaforme di streaming sempre più potenti e aventi diritto sempre più penalizzati. Un problema – conclude Limongelli – con il quale è necessario confrontarsi, per il bene del settore».
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