YouTube negli ultimi 12 mesi ha versato un miliardo di dollari di diritto d’autore nelle casse dell’industria musicale globale. A rivelarlo è il blog ufficiale della piattaforma di streaming di proprietà di Google, secondo il quale il dato «dimostra che più esperienze e modelli stanno avendo successo gli uni accanto agli altri». Secondo la nota che porta la firma di Robert Kyncl, chief business officier del cosiddetto «Tubo» (nella foto), saremmo soltanto all’inizio del processo: «Così come sempre più dollari di pubblicità si spostano da Tv, radio e stampa ai servizi online, l’industria musicale genererà ancora maggiori entrate dagli annunci pubblicitari. In futuro, il mondo della musica ha la possibilità di diventare un po’ come la televisione, dove abbonamenti e pubblicità contribuiscono più o meno alla stessa quantità di entrate, sostenuti dalle vendite digitali e fisiche. Per raggiungere questo obiettivo, c’è un sacco di lavoro che deve essere fatto da YouTube e dall’industria nel suo complesso, ma siamo entusiasti di assistere a questa fase». E l’industria discografica cosa ne pensa? Secondo Frances Moore, ceo di Ifpi, la federazione internazionale di settore, c’è poco da festeggiare: «Con 800 milioni di utenti in tutto il mondo per la musica, YouTube sta generando ricavi per poco più di un dollaro per utente nel corso dell’anno. Fa impallidire il confronto con le entrate generate da altri servizi, che vanno da Apple a Deezer e Spotify. Quest’ultima, per esempio, nel 2015 da sola ha pagato alle etichette discografiche più di 2 miliardi di dollari, ossia circa 18 dollari per utente. YouTube, il più grande servizio di musica on demand al mondo, non sta corrispondendo a artisti e produttori un compenso equo per la musica. Ciò mette in evidenza più che mai la necessità di un intervento legislativo per affrontare il value gap che nega ai titolari dei diritti musicali il giusto compenso per il loro lavoro». YouTube, secondo il presidente di Fimi Enzo Mazza, «è sicuramente una piattaforma rilevante nel settore musicale, con oltre l’89% di italiani che utilizzano il servizio per accedere a contenuti musicali. Tuttavia la remunerazione che la piattaforma di video sharing assicura agli aventi diritto è assolutamente inaccettabile, se confrontata con altri servizi streaming. Si tratta di una disparità che oggi è stata anche riconosciuta dalla Commissione europea che, nella proposta di revisione della Direttiva Copyright, ha proposto una prima possibile soluzione».
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