«Everything you know is wrong». Tutto quello che sapete è sbagliato. Era il provocatorio slogan dello ZooTv Tour con il quale gli U2, nei primi anni Novanta, conquistarono il mondo. Un mantra applicabile a tanti luoghi comune del music business, concetti che contengono una buona dose di verità ma che, al tempo stesso, non riescono a esaurire tutta la verità in questione. Pensiamo allo strapotere delle major: tutto in mano a Universal Music Group, Sony Music e Warner Music Gruoup. Vero, ma anche no. Prendiamo gli Stati Uniti, per esempio, primo mercato discografico del pianeta: secondo i dati Nielsen/Billboard relativi al primo semestre 2015, comanda la Universal con una quota del 27,6%, davanti a Sony (20,9%) e a Warner (15,2%). Se però sommiamo la massa critica di tutte le etichette indipendenti degli Usa, otteniamo secondo la stessa fonte una quota di mercato di addirittura il 35,4%, a fronte del 35,1% registrato a fine 2014. Le indie riunite insieme sono insomma il primo player del mercato americano e, numeri alla mano, stanno addirittura consolidando la propria leadership. A fine luglio A2IAM, associazione di categoria delle label indipendenti, ha diffuso un comunicato nel quale rimarcava l’importanza della performance in questione, citando l’exploit di Taylor Swift con l’ultimo album «1989», pubblicato dalla indie di Nashville Big Machine Records. La cosa che il comunicato ometteva è che Big Machine Records è distribuita da Universal Music Group. Perché negli States le indie saranno pure il primo player di mercato, ma per esserlo necessitano di un piccolo (grande) aiuto dalle major. Mettiamoci l’animo in pace.