«Cos’è il rap? La risposta è dentro di voi (ma è sbagliata)». La settimana di Sfera Ebbasta e Anastasio vista da Kento

Quante scemenze abbiamo letto/ascoltato nell’ultima settimana a proposito di rap/hip hop/trap? Tante, tantissime, troppe. Tutte mischiate, una dentro l’altra, come mischiati possono essere i pensieri di sette giorni apertisi con la tragedia di Corinaldo (e le sterili polemiche che ne sono seguite) e la vittoria a X Factor 12 di Anastasio (nella foto), il liricista napoletano che, dopo la vittoria, ha tutt’altro che smentito i like messi su Facebook alle pagine di Trump, Salvini e Casa Pound. Avevamo qualcosa da dire a proposito, ma ci siamo detti che forse sarebbe stato meglio lasciare parlare chi la cultura della strada la conosce e in maniera approfondita: Kento, al secolo Francesco Carlo, rapper calabrese vecchia scuola che qui a «Money, it’s a gas!» è sempre ospite gradito. Quanto può essere gradito un ospite che scrive benissimo e ha sempre un punto di vista originale sulle cose. Buona lettura.

 

«Lo sciroppo per la tosse è arrivato anche in Italia?» Sento vibrare nella domanda una punta di incredulità mentre rispondo che purtroppo sì, ho conosciuto più di un ragazzo in comunità di recupero per l’abuso di sciroppo alla codeina. Siamo a New York, due passi da Times Square, esattamente al John D. Calandra Italian American Institute. Mi trovo qui per presentare l’edizione americana del mio libro, ma la conversazione vira inevitabilmente sull’attualità. Dal cough syrup si passa a parlare della tragedia di Corinaldo, su cui arrivano dall’Italia resoconti e pareri spesso disinformati e contraddittori.

Per uno strano effetto prospettico, da oltreoceano, mi sembra che dalle nostre parti si parli quasi solo di rap. Prima le polemiche tra vari rapper e Salvini, che indirettamente hanno coinvolto anche me. Poi la mazzata tremenda delle sei persone schiacciate dalla folla. Infine (senza ovviamente voler fare paragoni nemmeno alla lontana), il «rapper» Anastasio che vince X Factor e rivendica i suoi like a pagine fasciste e razziste perché lui è un «libero pensatore».

Su Salvini e la sua strategia social ho già detto fin troppo: tremendamente cinica, tremendamente efficace nel campo dei suoi sostenitori. Se fino a ieri il truthsayer era spesso il giornalista scomodo, oggi il nemico designato del potere diventa il rapper, e le reti sociali sono lo strumento con cui contrattaccare, cercando di screditare l’artista e il genere musicale ormai più diffuso e influente.

E qui passiamo a Corinaldo, su cui anch’io – come il pubblico della conferenza del Calandra – ho letto tutto e il contrario di tutto. Finita la cronaca ed esauritosi il momento di lutto e solidarietà per le vittime, si è dato fiato alle trombe. La buona regola di parlare solo di ciò che si conosce, per qualche motivo, non si applica quasi mai al rap italiano. Tutti sono commissari tecnici della nazionale, tutti sono esperti di Hip-Hop, e i più tristi e ridicoli sono quelli che «tutto ciò che è nuovo è migliore solo in quanto nuovo» a pari merito con quelli «tutto ciò che è vecchio è migliore solo in quanto vecchio».

Già su queste pagine ho parlato delle nuove tendenze del rap italiano, e non mi pare il caso di aggiungere altro all’argomento, se non quanto segue: chi vi ha detto che lo spray al peperoncino è una moda legata ai concerti trap, vi ha detto una cazzata (i lettori del Sole mi perdoneranno questo francesismo e quelli che seguiranno). Se frequentate serate di qualsiasi genere nei grossi locali o se avete un amico che ci lavora, chiedete se e quante volte questo tipo di spray viene sequestrato all’ingresso. E, se proprio volete scendere dagli unicorni alati, chiedete anche se alle serate (ripeto: di qualsiasi genere) girano anche coltelli e armi improprie.

La violenza o quantomeno la minaccia di violenza – fosse anche solo sotto la forma di «essere pronti all’autodifesa» – accompagna sempre un assembramento di persone: perfino la storia dell’opera lirica è piena di racconti di fatti di sangue e arresti. E, purtroppo, devo ammettere che anch’io (pur essendo agli antipodi dell’attitudine e dei testi di parecchi trapper) ho visto in prima persona qualche episodio gravissimo. Fortunatamente, quasi sempre dalle mie parti si respira un’aria ben diversa, ma non è questo il punto. I valori di «peace, love, unity, having fun» non sono qualcosa di acquisito, ma un obiettivo per il quale dobbiamo lavorare insieme in quanto artisti, organizzatori e addetti ai lavori, pubblico. Non credo nelle perquisizioni a tappeto e negli scanner aeroportuali all’ingresso dei locali: credo alla necessità di impegnarsi per costruire un ambiente sicuro, senza scuse ma anche senza ipocrisie e moralismi.

Certo, un impegno teorico non basta. Il mercato della musica dal vivo è uno specchio terrificante ma preciso della società attuale, in cui chi sale sul palco a volte è pagato parecchie migliaia di Euro per pochi minuti, mentre chi quel palco l’ha montato prende 5 Euro l’ora. In cui spesso si hanno spese altissime, ma allo stesso tempo ci si rivolge magari a ragazzini molto giovani, con capacità di spesa limitate, e quindi bisogna riempire i locali quanto più possibile perché il singolo biglietto non può costare più di tanto. In cui anche le dotazioni di sicurezza sono un costo e quindi non sempre una priorità. I trapper sono brutti e cattivi, indubbiamente. Ma non è che noialtri intelligenti e bravi abbiamo fatto sempre di meglio per ribaltare questo atteggiamento.

E qui arrivo a quello che mi pare considerato bravo e intelligente da quasi tutti: il «rapper» (sì, è la seconda volta che lo scrivo tra virgolette) Anastasio, fresco vincitore di X Factor.  Un po’ di curiosità, devo ammetterlo, c’era: per chi fa rime in Italia, Napoli è la capitale pressoché indiscussa, uno di quei posti in cui, se col microfono non ci sai fare, può capitare ancora che ti buttino giù dal palco. E poi, ripeto: per me zero moralismi. Anche se i talent show fanno schifo, non possiamo ignorare l’impatto che hanno sull’opinione pubblica e sul costume. Dobbiamo studiare questo virus che attacca l’organismo – già non troppo sano – della nostra musica, se vogliamo provare a produrre i necessari anticorpi. Non farò la recensione delle canzoni di Anastasio e non considererò la sua estrazione alto-borghese, della quale ovviamente non ha colpa e che in un certo senso lo accomuna ad altri stimatissimi colleghi italiani e non. Mi convincerò che sarà stata la giovane età o l’esigenza di giustificarsi, e non un’enorme presunzione a fargli dire quella scemenza del «libero pensatore». Ma, con l’umiltà e la sicurezza di chi conosce e ama l’Hip-Hop da una vita, gli posso serenamente dire che lui, dell’Hip-Hop non ha capito un cazzo. Che Casa Pound col rap c’entra meno che niente. Che nella sua Napoli ci sono decine di liricisti, artisti veri, che non hanno vinto un talent ma il rispetto delle strade, e dai quali potrebbe proficuamente prendere lezioni.

Sì, di buono c’è che gli over 30 si sono accorti che c’è «un altro rap» rispetto a Sfera Ebbasta. E i ragazzi? Loro lo sapevano già: in tanti ascoltano gli originali, non le versioni più o meno riuscite della tv. Di buono c’è che si intensifica il dibattito sul rapporto tra rap e poesia, e qualcosa mi dice che nei prossimi mesi se ne parlerà ancora di più. Boh, sì, va bene.

Ma, come le persone che ho incontrato a New York, anch’io sono disgustato da un ritratto parodistico e bidimensionale della scena rap italiana, in cui sembra che esista solo, da un lato, becero sessismo ed edonismo e, dall’altro, un lirismo edulcorato, buono per tutti gli altri, in cui convivono Trump e Salvini, De Gregori e Renzi, trionfo del pensiero unico e del politicamente corretto che sventola la bandiera del finto ribelle. La dolcezza disgustosa dello sciroppo per la tosse o un semolino che non sa di niente, ma di sicuro fa digerire.

Mentre rileggo quest’ultimo paragone, mi viene da pensare che si potrebbe adattare benissimo anche alla scena politica della nostra Italia. Mi viene da ridere: forse se la buttassi troppo in politica finirei anch’io tra i milioni di allenatori della nazionale. O forse l’ho già fatto. Mi fermo qui, e magari inizio a scrivere una canzone nuova.
Kento

  • Tony |

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    Tony C

  • domenico sgambellone |

    Che piacere leggere articoli di questa caratura. Non informazioni futili nè atteggiamenti di chiusura ma osservazioni che stimolano il pensiero e il ragionamento. #kento

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