Intraprendenza. Dote preziosa per un produttore che, per contratto, ha il dovere di «indovinare» ciò che è meglio per l’artista da lui seguito. Spesso e volentieri contro il volere dell’artista stesso. L’intraprendenza per chi fa quel mestiere è tutto, talvolta però è persino troppo. Questa è l’avventurosa storia di un produttore che ha accompagnato i primi passi di un artista dal talento straordinario, gli ha creato contatti e occasioni di carriera, si è emozionato di fronte ai primi traguardi raggiunti e ha condiviso con lui numerose delusioni, si è «divertito» tantissimo a bordo palco e in sala d’incisione ma alla fine ha perso il rapporto con il musicista che stava aiutando a emergere, quasi per un’inezia. Il produttore è Claudio Poggi, l’uomo che mise in piedi «Terra mia», primo album del grandissimo Pino Daniele (nella foto), datato 1977. Ma alla fine è bastata una scelta ardita – un sì dato, forse troppo frettolosamente, a una pubblicità per la rivista «Ciao 2001», all’insaputa dell’assistito – a far saltare una collaborazione che avrebbe potuto dare frutti ancora maggiori. La storia è ambientata a Napoli, ma potrebbe essersi svolta anche a Londra, Nashville, Dublino, Rio o in qualsiasi altro posto dove la musica è ragione di vita. La storia rivive nel libro «Pino Daniele. Terra Mia» (Minimum Fax, euro 16, pp. 128) che Claudio Poggi ha scritto a quattro mani con Daniele Sanzone, giornalista e frontman degli ‘A67. Un testo che ripercorre la genesi dell’esordio discografico del compianto «Pinotto» per la Emi italiana, senza cedere alle lusinghe della retorica. Perché Poggi, che piaccia o meno, può fregiarsi di essere stato tra i pochi ad aver conosciuto il ragazzo che è venuto prima dell’uomo che è venuto prima del mito (a Napoli, parlando di Zio Pino, il sostantivo da usare è proprio questo) del bluesman partenopeo. E allora eccolo Pinuccio nostro, giovane ragioniere che abita in casa delle zie al centro storico e suona la chitarra con i Batracomiomachia, è molto apprezzato tra i «musicanti» del capoluogo campano, padroneggia la parlesia e, quando può, scrive canzoni in napoletano. Con un taglio che non è più quello della Nuova Compagnia di Canto Popolare, ma non è ancora quello di «Nero a metà». Insomma: lavori in corso sull’identità di un autore straordinariamente dotato. Poggi fa il critico musicale per qualche rivista specializzata, s’innamora della musica di Pinotto e trova il coraggio di alzare il telefono e chiamare la Emi, dando inizio alla storia che tutti conosciamo. Il libro ripercorre le session di registrazione di «Terra Mia», allo studio Quattro 1 del maestro Claudio Mattone, le circostanze che portarono alla prodigiosa stesura, in meno di una settimana, di «Napule è» e «’Na tazzulella ‘e café», forse i brani più rappresentativi del disco, il primo tour nelle balere emiliane, il contatto con i De Laurentiis dal quale nacque il lavoro alla colonna sonora del film «La mazzetta» di Sergio Corbucci. Poi quella pubblicità sbagliata, con «Terra Mia» che a un anno dall’uscita si immergeva tipo biscotto in una tazzina di caffè per promuovere un «Dolce e amaro Pino Daniele», e le strade professionali del produttore e dell’artista che si separano. Nel libro non c’è scritto, ma si percepisce che Pinotto doveva avere il suo bel caratterino: a fasi alterne rompe con Tony Cercola ed Enzo Avitabile, prima ancora che con Poggi. Ma si sa che Pinotto apparteneva alla razza dei lazzari felici, «gente ca nun trova cchiù pace/ quanno canta se dispiace/ e sempe pronta a se vutta’».
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