I «31 giorni» di Franco Mussida. C’è vita (sotto forma d’arte) dopo l’addio alla Pfm

Dopo aver messo in mostra lo scorso anno alla Triennale di Milano Musica il «Respiro Celeste», Franco Mussida, chitarrista e membro fondatore della Pfm torna nella sua città per presentare una nuova installazione, «La Musica è Fortuna», in cui racconta dei 31 giorni successivi al suo addio al gruppo, scelta motivata dalla volontà di dedicare tempo ai frutti delle sue diverse anime artistiche. Un racconto che trova ampio spazio anche  nell’omonimo libro catalogo pubblicato da Sandro Teti editore. Quei particolari 31 giorni saranno messi in mostra presso la Hernandez Art Gallery, dal 14 ottobre al 13 novembre. Un’installazione di sue nuove opere che sono lo specchio artistico di un’azione continuativa, una performance artistica realizzata in perfetta solitudine. Il risultato di questa azione, che lo ha visto impegnato a liberare alberi dalle edere e a raccogliere due quadrifogli ogni giorno per 31 giorni consecutivi nel tempo di un’ora, sono oggi trentuno quadrifogli d’oro, più precisamente in ceramica ricoperti di foglia d’oro montati su gambi in ferro con il simbolo musicale del sedicesimo. Un’azione simbolica, concettuale, che lo ha aiutato a tracciare un solco tra un passato traboccante di nostalgia e un domani da riempire di nuovi propositi e azioni. La musica, sostiene Mussida (nella foto di Guido Harari), «a prescindere da forme, generi, culture ed etnie, è di per sé la fortuna dell’uomo, in quanto specchio della sua interiore struttura emotiva; il vero cuore della sua vita, quella affettiva, fatta di pulsioni e di umori che orientano l’esistenza di chiunque». E sono proprio quelle misteriose relazioni che ci legano al suono organizzato attraverso il sistema musicale, la natura di quel linguaggio collettivo universale che da 30 anni è il territorio di ricerca e sperimentazione di Mussida. Un percorso che l’ha portato lontano, ben oltre il mondo dello spettacolo, in un territorio ancora sconosciuto: quello delle vibrazioni più profonde, in quello che lui definisce «codici vibranti» legati ai loro ricettori umani.