«Quando muore un anziano è come se bruciasse una biblioteca», recita un antico proverbio africano. Quando chiude una scuola di musica, aggiungiamo noi lavorando di parafrasi, è come se le giovani generazioni di un territorio perdessero un punto di riferimento, un luogo di crescita, un’occasione di riscatto. A qualcuno magari potrà apparire retorica, a noi sembra un discorso terribilmente concreto. Un film già visto chissà quante volte in tempi di tagli dei trasferimenti statali agli enti pubblici e conseguenti politiche orizzontali di spending review. Un film che, purtroppo, si replica in questi giorni a Corsico, profondo hinterland milanese, dove la scuola civica «Antonia Pozzi» – che dal 1969 a oggi ha formato migliaia di giovani che hanno poi intrapreso la carriera musicale o più semplicemente sono rimasti appassionati delle sette note per tutta la vita – è a rischio sopravvivenza, a meno che il comune di riferimento non batta un colpo. Sacrosante tutte le mobilitazioni del caso che stanno andando a culminare in un presidio musicale di concerti gratuiti. Il tema ne scomoda uno ancora più ampio: quale futuro si può immaginare per le scuole di musica in Italia? «Non è facile rispondere a questa domanda – spiega Paolo Ponzecchi (nella foto), presidente di Aisdm, associazione italiana delle scuole di musica – perché il settore negli ultimi anni è stato interessato da grandi cambiamenti. Mutato è il contesto di riferimento e, inevitabilmente, per sopravvivere anche le scuole sono chiamate alla sfida del cambiamento». Ma quante sono queste istituzioni in Italia? Stime ragionevoli parlano di circa 2mila strutture sparse su tutto il territorio nazionale, con storie e ragioni sociali molto diverse, per oltre 200mila ragazzi iscritti ai corsi. «Il colpo d’occhio – prosegue Ponzecchi – restituisce uno scenario a macchia di leopardo: nel Centro-nord prevalgono le scuole pubbliche o che comunque nascevano da esperimenti di enti locali e col tempo sono diventate altro. Al Sud prevale il privato». L’offerta varia molto, da caso a caso. Il modello delle scuole pubbliche, comunali o civiche, negli ultimi anni è andato spesso e volentieri in crisi: «Non puoi dipendere in tutto e per tutto da un ente pubblico – continua Ponzecchi – e per due ordini di motivi. Primo: non è più il tempo in cui i comuni hanno risorse a sufficienza per reggere le sorti di organizzazioni complesse come vere e proprie istituzioni scolastiche. Secondo: gli enti pubblici sono amministrati dalla politica e i cambi di equilibrio di quest’ultima, nell’epoca dello spoil system, potrebbero mettere in crisi la continuità del tuo lavoro». Che fare allora? Guardare ai privati? «Nel Ventunesimo secolo – risponde il presidente di Aisdm – scegliere questa strada non deve più rappresentare un tabù. Con l’associazionismo si fa fatica a sopravvivere. Esistono interessanti esperienze cooperative, invece, come la scuola «Dedalo» di Novara, un vero e proprio caso di studio, a mio avviso. E poi, ultimamente, sta prendendo piede la formula della fondazione che, se ben interpretata, può rappresentare una via intelligente per far dialogare pubblico e privato». Ponzecchi dirige la scuola di musica «Giuseppe Verdi» di Prato che, con oltre duecento anni di storia, è tra le più antiche d’Italia. Anche qui si è passati dal controllo pubblico del comune a un nuovo assetto che vede l’istituzione controllata dalla Camerata Strumentale Città di Prato, soggetto nel cui organigramma siedono rappresentanti di comune, provincia e Fondazione Cassa di Risparmio di Prato. Come dire: anche qui il destino sembra essere il dialogo tra pubblico e privato. Ed è un primo tema. L’altro, secondo Ponzecchi, ha ancora più a che fare con la politica: «Ci rispettano poco», spiega il direttore. «Noi che rappresentiamo la musica dovremmo imparare a fare lobbying nel senso buono del termine, unirci, fare massa critica e spingere il legislatore a interpretare le esigenze di ragazzi che frequentano i nostri corsi». Qualche anno fa, per esempio, si provò a incardinare in Parlamento una legge che individuasse i requisiti minimi delle scuole di musica. Cadde la legislatura e quel progetto di legge rimase nel libro dei sogni. «Fu un’occasione persa. Dovremmo tornare a dialogare, tutti noi che rappresentiamo il mondo delle scuole di musica, e proporre a chi ci governa una strategia coerente a sostegno degli interessi del settore». Che sono gli interessi di oltre 200mila ragazzi cui la musica può cambiare la vita.
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