Casella dei dischi: le recensioni a John Cale, John Grant e Cola

Puntata ad alto tasso di canzone d’autore per la Casella dei dischi, la rubrica di recensioni tutt’altro che mainstream a cura di Michele Casella. Sotto la lente i nuovi album di John Cale, John Grant e Cola.

John Cale POPtical Illusion (Domino)
Dopo decenni passati ad avventurarsi attraverso i generi musicali, spostandosi dalla classica contemporanea al rock alternativo, dal proto-punk alla new wave, dall’ambient all’elettronica, John Cale (nella foto) arriva al pop col suo diciottesimo album. Proprio lui che, in 82 anni di vita, ha contribuito in maniera fondamentale a definire la popular music del pianeta, letteralmente spostando il baricentro del suono contemporaneo. Ma, com’è ovvio, la sua è un’illusione pop, complessa e allo stesso tempo accessibile, centrata sulla sua voce e allo stesso tempo frutto di una fertile collaborazione in studio con Nita Scott. Dalla delicata ascensione di “God Made Me Do It (Don’t Ask Me Again)” all’orecchiabile refrain di “Davies And Wales”, passando per le basi elettroniche “old style” di “Edge Of Reason” e le testiere interlocutorie di “I’m Angry”, Cale spazia in maniera sorprendente attraverso idee e stilemi. L’aspetto melodico resta in primo piano anche coi due singoli apripista, la classica pop-song “How We See The Light” e l’irresistibile “Shark Shark”, che sembra uscita da una sessione newyorchese di inizio anni 80. Un disco, senza dubbio, da ascoltare.

 

 

John GrantThe Art of The Lie (Bella Union)
C’è una persona che ha creduto in John Grant fin dagli esordi, quando la sua band Czars venne timidamente alla ribalta a metà anni Novanta: Simon Raymonde. Oggi, a distanza di 30 anni, il boss dell’etichetta Bella Union pubblica il sesto album solista dell’artista statunitense e può tranquillamente affermare di averci visto lungo, perché “The Art Of The Lie” è il disco più complesso e sfaccettato della carriera di Grant. Nelle undici tracce in scaletta ci sono richiami alla new wave e al synth-pop, ai Cocteau Twins e a Beck, a Grace Jones e a Brigitte Fontaine. Le ultime due sono un riferimento diretto del musicista, che per il nuovo disco ha collaborato proprio col loro produttore Ivor Guest, portando nei brani delle dinamiche che vanno dal funk alla dream. Pezzi come “Marbles” (dolcemente allucinata), “Father” (struggente nonostante l’auto-tune) o “It’s A Bitch” (ballabile e trascinante) restano fra i migliori dell’intera discografia di Grant, ma l’ulteriore passo necessario per entrare nel disco è quello di appassionarsi alle liriche. Un disco personalissimo e appassionante.

 

 

Cola The Gloss (Fire Talk)
Diciamolo subito, questo disco va dritto spedito nella lista dei migliori di fine anno. Dopo l’eccellente esordio “Deep in view” di due anni fa, il nuovo “The Gloss” torna a battere le strade del suono alternative di deriva post-rock, mettendo in fila una serie di brani calligraficamente indie. Ma quella di Tim Darcy (frontman della band) è l’ennesima conferma di una carriera sempre a livelli altissimi, partita con gli indimenticabili Ought (assolutamente da ripescare su Constellation) e proseguita con la leggera virata post-punk dei Cola. Il trio di canadesi non sbaglia un colpo, passando da melodie slacker a obliquità più elettriche, unendo un cantato quasi sbilenco a una sezione ritmica sempre magnificamente ispirata. Un album che farà felici i fan di Pavement, Dinosaur Jr., Lemonheads.
Michele Casella