Nono appuntamento con Casella dei dischi, rubrica di recensioni tutt’altro che mainstream a cura di Michele Casella. Oggi il focus si stringe sui nuovi album di Dehd, Big Special e Les Savy Fav. Buona lettura e buon ascolto!
Dehd – Poetry (Fat Possum Records)
Difficile comprendere perché i Dehd (nella foto) non siano ancora esplosi a livello planetario, sebbene ormai calchino le scene da quasi un decennio grazie alla loro sapiente intersezione sonora fra indie-rock e art-pop. In questi anni il terzetto di Chicago ha pubblicato alcuni fra i singoli più interessanti del suono alternative, brani che incrociano spontaneità e originalità per supportare al meglio la fase di composizione. Il nuovo Poetry è, per molti versi, una sorta di compendio di quanto fatto fino a oggi, con una manciata di singoli d’eccellenza e una raccolta nel complesso molto positiva. I brani apripista sono, francamente, irresistibili, sia dal punto di vista melodico che nell’interazione con la sezione ritmica. Partire da Light On per poi passare a Moon Ring è il miglior modo per calarsi nel sound malinconico e allo stesso tempo ironico dei Dehd, i cui testi da anni raccontano i rapporti sentimentali e gli incontri della vita attraverso una scrittura sempre fresca e centrata. I riff coinvolgenti di Dog Days, il ritornello di Alien, le chitarre anni Novanta di Necklace: tutto converge a creare un disco intelligente e godibile, ennesimo capitolo di una discografia ricca di pezzi memorabili.
Big Special – Postindustrial Hometown Blues (So Recordings)
Appena parte l’opening track Black Country Gothic sembra subito di ascoltare una band a metà strada fra Sleaford Mods e Bruce Springsteen, sorretta da una spinta energetica fuori dall’ordinario e da una ritmica decisamente forsennata. Ma Postindustrial Hometown Blues è molto di più: un concentrato dell’attuale suono Brit e un cantato ora votato alla declamazione e allo spoken word, ora melodicamente radiofonico e accattivante. I Big Special sono Joe Hicklin (voce, chitarra) e Callum Moloney (batteria, voce), il duo arrivato al debut album dopo una lunga serie di singoli pubblicati nello stretto giro di 12 mesi. Punk nell’animo, working class nell’inclinazione, i due inglesi hanno composto il disco per affrontare la frustrazione da lockdown e la situazione socio-culturale in cui vivono. Le quindici tracce sono un rincorrersi di riferimenti al recente passato sonoro britannico, in cui ciascuno può individuare band e frontman di riferimento, ma è proprio la spinta del risentimento e la potenza delle liriche a lanciare il disco oltre la barriera delle uscite convenzionali. Menzione di merito per Mongrel, il dirompente componimento poetico che apre una intensa riflessione sulla sanità mentale.
Les Savy Fav – OUI, LSF (Frenchkiss)
Se seguite l’ambito del rock alternativo, senza dubbio ricorderete i Les Savy Fav, non solo per i loro dischi al fulmicotone ma soprattutto per le performance che hanno infiammato i palchi di mezzo mondo. Senza uscite discografiche da circa 14 anni, i newyorchesi guidati dal cantante Tim Harrington tornano con la dichiarazione d’intenti OUI, LSF, una raccolta che per energia sembra uscita dal garage di una band emergente. Il post-punk di questi 14 brani accoglie a piene mani i riferimenti all’emo statunitense di metà anni Novanta, le chitarre abrasive di certo hardcore e i cori accalorati da college radio. Più preciso nella produzione e forse lievemente più imbellettato nel suono complessivo, questo ritorno in studio è un esempio di reinvenzione e di attualizzazione, forse più accessibile e più diretta, ma comunque vibrante e divertente come ormai siamo stati abituati dal quintetto. La vera attesa, però, sarà quella sui palchi, dove la band risulta davvero imperdibile.
Michele Casella