Nuova esaltante puntate di Casella dei dischi, rubrica di recensioni tutt’altro che mainstream a cura di Michele Casella. Oggi attenzionati speciali sono i nuovi album di Eels, Kelley Stolts e Beings. Buona lettura e buon ascolto!
Eels – Eels Time! (E Works/Play It Again Sam)
Gli Eels non sbagliano neppure il quindicesimo colpo e pubblicano una dozzina di nuovi brani, nati dalla prima sessione di registrazione in presenza dall’inizio della pandemia. La formula è fondamentalmente quella che conosciamo e a cui il frontman Mark Oliver Everett (nella foto) ci ha abituati, ma sono i singoli dettagli di ogni traccia a rendere “Eels Time!” degno di nota. Il classic folk che sta alla base del songwriting “alla Eels” viene animato da elettroniche e refrain sempre avvincenti, dove il caldo lo-fi della voce si inserisce nella freschezza dei cori e nella dinamicità delle ritmiche. Il disco, come indica anche il titolo, è una riflessione sulla vita e sulle relazioni, viste da Everett anche attraverso la lente della morte del padre e dell’esperienza ospedaliera che lo ha letteralmente trasportato in un “universo parallelo”. Dopo tutti questi anni, gli Eels sono a tutti gli effetti fra i pochi portabandiera di un alternative folk che ha fatto storia e brani come “If I’m Gonna Go Anywhere”, “Sweet Smile” o “Goldy” creano un raccordo diretto fra i loro esordi e le prove più recenti, il suono anni Novanta e le rielaborazioni del nuovo millennio. Avanti così.
Kelley Stoltz – La Fleur (Agitated Records)
Kelley Stoltz è un veterano e il nuovo “La Fleur” ne è la dimostrazione pratica. Non solo perché composto in maniera egregia – in alcuni casi “da manuale” – ma soprattutto perché in questa dozzina di tracce si mescolano idee e stili provenienti da mezzo secolo di ascolti. È come se i The The e i Roxy Music avessero incontrato Ariel Pink e Tame Impala per scrivere rock song dall’aria primaverile e ballate pop dal retrogusto psichedelico. Si passa così dal singolo “Brit” di “Reni’s Car” (dove racconta di un giro in auto a Manchester assieme a Reni, batterista degli Stone Roses) alla cavalcata “Victorian Box” che sembra uscita da un disco dei Deerhunter, per poi arrivare al suono sixties di “If You Ask”, alle chitarre psych-folk di “About Time” e alla new wave di “Hide in A Song” (che avrebbe fatto impazzire Matt Johnson). Con “La Fleur” Kelley Stoltz giunge al diciottesimo album, ma senza che la sua vena compositiva abbia subito contraccolpi e forte di un’esperienza trasversale al banco di produzione.
Beings – There Is A Garden (No Quarter)
Questo sì che è un supergruppo, che riunisce il chitarrista Steve Gunn, il bassista e maestro di synth Shahzad Ismaily, la sassofonista, chitarrista e cantante Zoh Amba e il batterista Jim White. Il nome del progetto è Beings e basta un solo ascolto alla loro prova d’esordio per farsi convincere dell’eccellenza di queste nove tracce. Registrato a New York e ispirato dal perfetto amalgama creato fra i quattro musicisti, “There Is A Garden” è un disco all’insegna dell’esplorazione e dell’immersione emotiva, una raccolta in cui i virtuosismi sonori di sciolgono nell’ispirazione psichedelica che permea l’intero lavoro. Concepito attraverso una serie di jam session iniziate nell’estate del 2022, questo LP segna effettivamente un’evoluzione positiva rispetto alle prove soliste di ciascuno dei musicisti, perché unisce una straordinaria capacità di scrittura alla verve impro a tratti sbalorditiva. Passando dall’indie-rock al folk, dal jazz alla drone, “There Is A Garden” è un disco inaspettato a ogni traccia, una suggestione euforica che incrocia l’esperienza e l’eccentrica vitalità di questi eccezionali artisti.
Michele Casella